Il comunicato dell’Intersindacale. Le organizzazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria, al termine della manifestazione unitaria che si è svolta a Roma, ringraziano gli esponenti delle forze politiche e sociali intervenuti e confermano le motivazioni dello sciopero nazionale di martedì 12 dicembre prossimo.
Si sciopera per difendere un diritto costituzionale dei cittadini e le ragioni del nostro lavoro che ne è valore fondante e garanzia di esigibilità.
La legge di Bilancio 2018 esclude la sanità, unico settore della pubblica amministrazione, da politiche di investimento e di rilancio, relegandola in una recessione perpetua e negando ogni segnale di attenzione, se non di rispetto, nei confronti dei medici, dei veterinari, dei dirigenti sanitari dipendenti del SSN.
Una manovra da 20 miliardi, di cui 12 tradotti in bonus per ogni età della vita e ceto sociale, non ha trovato il modo di mettere a disposizione del tavolo contrattuale, ancora da aprire dopo 8 anni di blocco, risorse accessorie già nostre e già esistenti nelle singole aziende sanitarie.
Le soluzioni trovate per altri settori del pubblico impiego, dalla scuola alla università al comparto sicurezza, sono state negate al personale del SSN che sta rarefacendosi sempre di più con una età media giunta al vertice mondiale.
Mentre il concorso di ammissione alle scuole di specializzazione, solo pochi giorni fa, ha lasciato 10.000 giovani medici, destinati a raddoppiare nei prossimi due anni, fuori dai percorsi formativi e dall’accesso al lavoro.
Un tale disinteresse non può che comportare la rottura del rapporto tra chi governa la sanità pubblica, a livello nazionale e regionale, e i suoi professionisti, che ne sono anima e corpo. Di fatto, le Regioni hanno finora garantito i LEA, per quelle che lo hanno fatto, a spese dei professionisti per cui appare inaccettabile che tentino di sottrarsi agli obblighi contrattuali ponendoli in alternativa con il diritto alla salute dei cittadini.
Il Governo si assume non poche responsabilità per avere determinato questa situazione ma nemmeno i partiti della sua maggioranza possono pensare di chiamarsi fuori comportandosi come Ponzio Pilato.
Auspichiamo che i giorni che ci separano dallo sciopero possano consentire alla Camera di rivedere la Legge di Bilancio per aumentare il finanziamento del FSN e rendere disponibili per il contratto di lavoro della dirigenza sanitaria le risorse accessorie già esistenti nelle singole aziende.
I cittadini, i medici, i veterinari, i dirigenti sanitari giudicheranno nelle urne elettorali e fuori.
Il comunicato Fvm. Sciopero necessario, per la sanità pubblica e per il Ccnl
Ringraziamo per essere intervenuti tutti i colleghi che hanno supportato l’iniziativa e coloro che a vario titolo hanno preso a cuore e appoggiato la nostra vertenza:
Maria Grazia DE BIASI Presidente Commissione Sanità Senato
Giulia GRILLO Responsabile Sanità M5S
Amedeo BIANCO Commissione Sanità Senato
Federico GELLI Responsabile Sanità PD
Sante ZUFFADA FI
Filippo FOSSATI MDP
Tonino ACETI Cittadinanzattiva
Marco RAMADORI Codacons
Purtroppo, pur avendo invitato il Governo ad ascoltarci, nessuno dell’Esecutivo ha ritenuto opportuno dare qualche segnale di attenzione alla Sanità pubblica e ai suoi dipendenti.
Abbiamo registrato nuovamente anche oggi – dagli interventi degli stessi Parlamentari – che gli atti del Governo sono molto lontani dalle pur nobili intenzioni del Parlamento.
La Presidente della Commissione sanità del Senato ha riconosciuto che è stata una sconfitta della Commissione – che si era espressa in modo unanime – veder cadere con la fiducia gli emendamenti che avrebbero rifinanziato il Fondo sanitario nazionale e i contratti.
La legge di Bilancio va ora per l’approvazione definitiva alla Camera.
In quell’aula finirà l’iter nuovamente attraverso un voto di fiducia che potrebbe esautorare ancora una volta i Deputati che dicono di voler riconoscere, con opportuni interventi emendativi, nella Legge di bilancio ciò di cui la Sanità ha bisogno per garantire i LEA e per poter concludere un contratto dignitoso per medici, veterinari e sanitari.
Lo sciopero è quindi necessario perché in questi 12 giorni si deve fare tutta la pressione possibile sull’Esecutivo e sui Parlamentari.
Il video della mattinata con tutti gli interventi
Grasselli (Fvm): “La sanità italiana non è più in grado di garantire i Lea”. VIDEO
La cronaca della giornata da Quotidiano Sanità
Da un lato c’è il rischio burnout, parola che in italiano si traduce bruciato. Bruciato da uno stress ripetuto, quotidiano, causato da orari e luoghi di lavoro inadeguati. Dall’altro, le promesse della politica di trovare le risorse necessarie per uscire dalla crisi. Visioni contrapposte di una stessa realtà: il futuro del Sistema Sanitario Nazionale. Descrizioni messe in scena su unico palcoscenico “allestito”, nella Sala Capranichetta in Piazza Montecitorio, a Roma, dai rappresentanti di categoria di medici, veterinari e dirigenti medici per spiegare le ragioni dello sciopero nazionale, proclamato per il prossimo 12 dicembre. “Il primo – hanno già specificano i sindacati – di una lunga serie”.
Alla protesta contro i tagli della legge di bilancio 2018 alla sanità hanno aderito: Anaao Assomed , Cimo, Aaroi-Emac, Fp Cgil Medici e Dirigenti Ssn, Fvm, Federazione Veterinari e Medici, Fassid-Aipac-Aupi-Simet-Sinafo-Snr, Cisl Medici, Fesmed, Anpo-Ascoti, Fials Medici, Uil Fpl Coordinamento Nazionale delle Aree Contrattuali Medica e Veterinaria.
A denunciare il rischio che tra i camici bianchi, soprattutto giovani precari, possa dilagare una sindrome da burnout (sindrome che comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione e un sentimento di ridotta realizzazione personale, ndr) è Andrea Filippo, segretario nazionale FpcCgil Medici e dirigenti Ssn.
È di Costantino Troise, segretario nazionale di Anaoo Assomed, invece, l’idea di paragonare “i pronto soccorso italiani ai peggiori gironi infernali descritti da Dante”, una visione difficile da contraddire ripensando a quei medici dell’ospedale di Nola, in provincia di Napoli, che, in mancanza di letti, hanno curato i pazienti sul pavimento. E quando le condizioni sono al limite dell’accettabile, ha aggiunto Troise “noi ci mettiamo la faccia, non le Istituzioni che tagliano fondi alla sanità pubblica. E se qualcuno mi dice ‘fai un lavoro bellissimo’, io gli rispondo che lo era 20 anni fa. Ora non più”.
Tra toni un po’ rassegnati e altri arrabbiati, ce n’è uno in controtendenza, quello dell’onorevole Federico Gelli. Rassicura: “la tassa sul fumo è solo una delle soluzioni a cui abbiamo pensato per reperire nuove risorse. Ne abbiamo studiate molte altre”. Ma su quali siano queste altre Gelli non fa anticipazioni. L’onorevole fa una carrellata di tutte quelle scelte importanti, in ambito sanitario, firmate dall’attuale legislatura. “Dalla sicurezza delle cure, al testamento biologico, fino al consenso informato. Le borse di studio per le specializzazione sono certamente ancora insufficienti – ha sottolineato Gelli – ma comunque triplicate rispetto agli anni scorsi”.
Sei i punti attorno ai quali ruota lo sciopero di dicembre. I medici protestano per tutelare la Sanità Pubblica, per il diritto alla cura e a curare. Al secondo punto c’è il contratto di lavoro, poi, si chiede la fine della precarietà. Al punto quattro, le scelte fallimentari della politica. Ancora, chiedono la difesa della professione e l’aumento dei contratti di formazione specialistica.
“Un insieme di fattori – ha spiegato Aldo Grasselli, presidente Fvm – dovuti all’invecchiamento della popolazione italiana, alle cronicità di lunga durata, ai magnifici ma costosi farmaci innovativi, alla non autosufficienza, stanno per mettere in ginocchio la più importante conquista sociale di tutti i tempi: la sanità per tutti, equa e inclusiva”.
Aldo Grasselli interviene in un clima teso: dalla platea c’è chi contesta, chi fa sentire la propria voce per evidenziare tutte le promesse disattese, per sottolineare che il lavoro sul campo è tutta un’altra storia. “Un medico di guardia a 67 anni, che cosa guarda?”, usa un gioco di parole Grasselli per evidenziare una delle tante difficoltà, l’età della pensione, che ha portato i medici alla protesta.
Il presidente Fvm, mette un po’ d’ordine, per dire puntualmente dove il Governo sbaglia o non agisce: “occorre scioperare per far capire che la misura è colma, che i valzer delle responsabilità rimpallate tra Stato e Regioni hanno stancato, che il definanziamento della sanità pubblica si deve fermare e la finanza pubblica deve tornare a dare risorse pari a quelle che in sanità investono Francia e Germania”.
“Lo sciopero – ha continuato il presidente Fvm – non è una ritorsione, ma un appello. Chiediamo l’apertura di una trattativa seria, che tenga conto di tutte le esigenze dei lavoratori per il rinnovo di un contratto bloccato da 8 anni. Chiediamo un confronto sulle esigenze dei giovani medici ai quali viene detto di laurearsi in fretta, e poi? Un anno e mezzo di attesa per l’esame di stato. Ancora, 5 anni per la specializzazione. E dopo? Non è finita: si entra nel tunnel del precariato, di contratti atipici erogati anche dalle stesse realtà pubbliche. Non scioperiamo per le molliche, come dicono alcuni, criticandoci. Scioperiamo perché crediamo nel sevizio pubblico e vogliamo difendere le esigenze del malato”.
E che questa lotta non riguarda solo i professionisti, ma anche i cittadini-pazienti, lo sottolinea Mauro Mazzoni, Fassid, puntando il dito contro l’inadeguatezza delle risorse investite per la prevenzione. “La regione Lazio – ha detto – spende in prevenzione 5 euro per ogni cittadino”.
A completare il quadro della situazione ci pensa Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato di Cittadinanzattiva, facendo i conti con i numeri raccolti esaminando l’altra faccia della stessa medaglia: “un cittadino su 3, che chiede aiuto ai nostri esperti, denuncia di avere difficoltà ad accedere ai servizi della sanità pubblica. Aumentano le regioni che non sono in grado di erogare i livelli essenziali di assistenza e si tratta di quelle stesse regioni che hanno migliorato le performance economiche negli ultimi tempi. Come? Tassando i cittadini, tagliando i servizi, il personale sanitario e le risorse”.
“Undici e mezzo sono i miliardi – ha continuato Aceti – che sono stati tolti al Ssn dal 2015-2018. 115 dovevano essere i miliardi sul tavolo nel 2018. Oggi nel piatto della manovra ce ne sono circa un miliardo e mezzo in meno. Le possibilità sono due: o il fabbisogno è stato sovrastimato in precedenza o attualmente sottostimato. Temo che siamo di fronte a questa seconda possibilità: una sottovalutazione che porterà il comparto a dover far fronte ad ulteriori tagli. Speriamo in una inversione di rotta. Questa legge di bilancio è una legge che prevede molti bonus. Allora – ha commentato il coordinatore nazionale del Tribunale dei diritti del malato di Cittadinanzattiva – il mio auspicio è che se ne trovi uno anche per la Sanità pubblica”.
E di tutti i benefici che questa legge di Bilancio 2018 porterà ad altre categorie professionali parla anche Costantino Troise, alla guida di Anaao Assomed: “la scuola porta a casa nuovi scatti di anzianità, bonus. Settori come l’università, la sicurezza possono contare su ministri, oltre che su ministeri. Noi ci sentiamo figli di nessuno. Questa finanziaria registra una frattura tra chi governa il Ssn e chi ci lavora. È una manovra che non da attenzione alla salute dei cittadini, che non trova nessuna risorsa per rinnovare contratti bloccati da otto anni, favorendo le condizioni di lavoro peggiori degli ultimi 10 anni. Bocciamo questa legge di bilancio perché è questa legge a bocciare la nostra professione. Ci faremo avanti in campagna elettorale con un nuovo hashtag ‘prima di votare pensa alla salute’. Perché la situazione attuale è una conseguenza di scelte politiche sbagliate. Noi vogliamo che i nostri pazienti siano tutelati al meglio. E per questo – ha sottolineato ancora Troise – scioperiamo”.
Critica la politica e le sue scelte sbagliate pure Guido Quici, presidente nazionale Cimo: “Con la legge di bilancio 2018, all’esame del Parlamento, abbiamo fatto tredici, ovvero sono tredici le finanziarie consecutive che introducono tagli lineari alla sanità, riducono ed impoveriscono il personale sanitario, deprimono e dequalificano il ruolo del dirigente medico. Finanziarie che portano a privilegiare la sanità privata rispetto a quella pubblica e a creare una situazione di contrapposizione fra medici, personale sanitario e ii cittadini-pazienti”.
“Si sta per aprire una stagione elettorale che si prevede dura e senza esclusione di colpi ma il diritto alla salute è un bene troppo prezioso per finire stritolato nelle liti fra partiti. Occorre che le forze politiche dicano chiaro, da subito, quale welfare hanno in mente, quali risorse sono disponibili e che priorità ha la salute pubblica all’interno dei loro programmi. Le cifre parlano chiaro – ha aggiunto Quici – la politica del de-finanziamento parte dal 2004, quattro anni prima della crisi economica, con la legge Finanziaria n.311 che impone risparmi per 2,6 mld e il limite assunzioni per il triennio 2005-07. Con quella del 2018, di cui si sta occupando il Parlamento, siamo alla finanziaria dei bonus e dei malus. Abbiamo i bonus bebè, elettrodomestici, giardini, case, mobili, ecobonus, bonus cuscinetto per le banche e i malus, come l’abolizione della piramide dei ricercatori, finanziamento Ccnl sanità, lavori usuranti medici”.
“Prendiamo il grande accusato, il costo del personale, nel 2010 ammontava a oltre 36 mld, nel 2015 (ultimi dati disponibili) è sceso a poco più di 34 mld, con un calo di 2 mld, di cui 800 milioni per i soli dirigenti medici. Cresce invece – ha detto ancora Quici – la voce relativa agli acquisti, che passa dai 14,8 mld del 2010 ai 17,9 mld dal 2015, con un aumento di circa 3 mld. Ma a pesare di più è la spesa per acquisti dei servizi, pari a 56,4 mld nel 2010 e poco meno nel 2015, con 56,2 mld e un risparmio pari a poco più di 140 milioni di euro. Tuttavia a calare, in realtà, è l’ammontare dei servizi sanitari (-307mln di euro), mentre il capitolo degli acquisti dei servizi non sanitari aumenta, salendo dai 7,5 mld del 2010 ai 7,65 mld del 2015. Quindi è indispensabile un’operazione di chiarezza prima di parlare di nuovi e ulteriori tagli alla sanità”.
Che le scelte delle Istituzioni non abbiano avuto buon esito per le sorti della Sanità lo ha ammesso anche Emila de Biase, presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato. “La strategia che abbiamo scelto non è andata a buon fine. Abbiamo puntato su un finanziamento consistente che potesse risolvere tre grossi problemi: contratto, personale e ricerca biomedica italiana, piuttosto che puntare su una miriade di piccoli emendamenti. Abbiamo costruito la possibilità di accise sul tabacco per 600 milioni di euro, per finanziare farmaci oncologici e cure palliative. In questo modo i 500 milioni già a disposizione per le cure oncologiche e palliative potevano essere dirottati verso le spese della sanità. L’iniziativa aveva anche un profondo senso etico, considerando che il costo delle sigarette in Italia e tra i più bassi d’Europa”.
“Ora – ha aggiunto De Biase – non so spiegare fino in fondo perché ho dovuto ritirare l’emendamento. A chi mi ha detto che meno persone avrebbero acquistato le sigarette perché troppo costose, rispondo che non credo sia così. Ma se il numero di fumatori fosse diminuito, allora la Sanità Pubblica, nel tempo, avrebbe risparmiato in cure. Speriamo che questi emendamenti possano essere presentati dai colleghi alla camera con maggiore fortuna. Il servizio sanitario italiano è stato invidiato dal mondo intero, ed allora, è necessario che sia rilanciato per poter fare in modo che questa idea – ha concluso – resti immutata”. La partita è ancora aperta, anche per la Sanità pubblica. Alla Camera il gioco delle ultime carte. (Isabella Faggiano)
1 dicembre 2017