Le retribuzioni di luglio sono lo specchio di un Paese senza slancio. Il mese scorso, secondo i dati Istat, ha segnato un nuovo minimo storico per le retribuzioni contrattuali orarie: l’indice rimane invariato rispetto al mese precedente e la crescita è dell’1,1% su base annua. Nonostante sia bassa, si mantiene tuttavia più alta dell’inflazione.
Complessivamente, nei primi sette mesi del 2014 la retribuzione oraria media è cresciuta dell’1,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Per il sociologo del lavoro Emilio Reyneri che insegna all’Università Bicocca di Milano, «viviamo una situazione di incertezza generalizzata. Se le imprese non investono, nemmeno la popolazione consuma, con un conseguente, forte avvitamento che impedisce anche la crescita delle retribuzioni». Soprattutto perché i rinnovi contrattuali, osserva Reyneri, «sono fermi e l’unico aumento possibile è a livello aziendale. A crescere però sono solo le imprese molto proiettate all’estero, quelle che operano soprattutto sul mercato interno, invece, non vanno bene. Il problema in questa fase, in cui il fondo sembra spostarsi sempre più in fondo, è quello di tenere i lavoratori al lavoro».
Guardando ai principali macrosettori, in luglio le retribuzioni contrattuali orarie registrano un aumento tendenziale dell’1,4% per i dipendenti del settore privato, mentre si rileva ancora una crescita zero per quelli della pubblica amministrazione. Nel dettaglio, i comparti che presentano i rialzi maggiori sono: telecomunicazioni (3,1%), gomma, plastica e lavorazione minerali non metalliferi (3,0%) ed estrazione minerali (2,9%). Nei trasporti c’è stata una flessione dello 0,4% su base mensile, che diventa dello 0,3% nel confronto annuo. Sul calo si riflette l’applicazione dell’accordo per il gruppo Alitalia, relativa a misure straordinarie per il contenimento del costo del lavoro.
Sul fronte dell’attività contrattuale, alla fine di luglio sono stati recepiti quattro accordi, il rinnovo dell’edilizia e di tre comparti del trasporto aereo, mentre uno solo è scaduto. I contratti in attesa di essere rinnovati sono quindi 40 (di cui 15 appartenenti alla Pa) relativi a circa 7,6 milioni di dipendenti (di cui 2,9 milioni nel pubblico impiego). Sta aspettando quindi il 59% del totale dei dipendenti. Una percentuale che supera la metà, pur essendo in diminuzione rispetto a giugno (61,4%). I mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto sono in media 31, o meglio due anni e mezzo, in aumento rispetto allo stesso mese del 2013 (25,8). Se si considera solo il settore privato, la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 47%, in lieve diminuzione rispetto al mese precedente (50,1%) e in decisa crescita rispetto a luglio 2013 (38,9%). Per lo stesso settore i mesi di attesa per i dipendenti con il contratto scaduto sono 16,1, mentre l’attesa media è di 7,5 mesi considerando l’insieme dei dipendenti del settore.
Il Sole 24 Ore – 29 agosto 2014