di Daniela Minerva. Beatrice Lorenzin è tutta contentai: il Patto per la salute è chiuso. Qualche dettaglio e sarà legge il provvedimento che fissa 330 miliardi circa in tre anni e fissa, ammettiamolo, un principio importante: se qualcuno vuole risparmiare sugli sprechi del Ssn dovrà poi reinvestire nello stesso Ssn i risparmi.
Il Patto contiene poi altre misure tra le quali la decisione (sono una ventina d’anni che lo sento dire) di tenere aperti gli studi dei medici di base tutto il giorno e quella di potenziare l’assistenza sul territorio, accanto ai malati (anche questo lo sento annunciare da decenni). Ma…
Lo stesso giorno in cui Beatrice è felice per il Patto, apprendiamo dal medesimo ministero della Salute che solo otto regioni garantiscono ai loro cittadini i cosiddetti Lea, livelli minimi di assistenza. Sono Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Toscana, Umbria e Veneto. Insomma, da Perugia in giù è la barbarie e anche il sussiegoso Piemonte se la cava da schifo. Cos’avrà mai da essere soddisfatta il ministro?
Non solo: il festeggiatissimo Patto ha un buco al suo interno che altroché il cratere dell’Etna! Semplicemente, i governatori e il ministero si sono accordati sui soldi e qualche (poche) innovazione di governance; ma non hanno trovato la quadra sui Lea, ovvero su cosa si possa definire oggi assistenza decente. Perché i Lea non sono una sigla vuota, sono le prestazioni alle quali abbiamo diritto (dai farmaci, agli interventi chirurgici, all’assistenza, ai test diagnostici). Quello che entra nei Lea il Ssn deve darcelo perché è, appunto il livello minimo di assistenza. Ovvero quello che 13 regioni non riescono a garantire ai malati.
Quindi non è banale il fatto che nel Patto non li si definisca. Che razza di patto è? Chiamiamolo meglio: è un accordo sui soldi. Poi quel che ci si deve fare con quei soldi è tutto da decidere. Ma è quello che interessa tutti noi.
Ora, a pensar male si fa peccato, ma… Allora viene da chiedersi se c’è almeno un accordo di massima tra il ministero (garante della Costituzione e dell’applicazione dei Lea) e le regioni. E viene da supporre che ogni regione deciderà i suoi Lea con ciò acuendo drammaticamente la diversità di trattamento sanitario tra gli italiani. I bravi potranno dare le prestazioni utili e innovative ai loro cittadini (bravi anche loro perché hanno saputo giudicare votando), i ciucci restringeranno il numero di terapie e presidi condannando i malati a stare sempre peggio o a pagarsi le cure. Sempre di più. E io continuo a scommettere (non è la prima volta che lo scrivo) che le conseguenze si vedranno tra pochi anni sulle statistiche di mortalità.
Ma Lorenzin è tutta contenta. Beata lei.
Repubblica.it – 6 luglio 2014