Ad anno dalla sua entrata in vigore, la tassa sui cibi ricchi di grassi saturi introdotta dal governo danese fa più che mai discutere, soprattutto i critici che non fanno mancare gli appelli affinchè l’imposta venga abolita.
Secondo i detrattori questa tassazione non avrebbe prodotto l’esito sperato perché solamente una piccola percentuale di consumatori si è convinta ad acquistare alimenti più sani, ma nel frattempo le aziende dovendo fare i conti con i mancati introiti hanno dovuto operare dei licenziamenti.
Nonostante l’adozione della tassa sui grassi saturi sia stata salutata positivamente dall’opinione pubblica come esempio da seguire per tutto il mondo, i critici sostengono che l’unico effetto di rilievo fatto registrare in Danimarca è stato la corsa verso il confine con la Germania per acquistare generi alimentari.
In un articolo apparso sul Copenhagen Post a firma di Jens Klarskow della Camera di commercio danese e di Soren Gade del Danish Agriculture and Food Council gli autori scrivono che il problema deriva principalmente dal fatto che l’imposta si applica a quasi tutti i tipi di alimenti, in questo modo si finisce per applicare un supplemento minimo ad un numero enorme di prodotti, con l’effetto di creare maggiori oneri amministrativi a carico delle aziende del settore alimentare.
Gli autori dell’articolo sostengono inoltre che, secondo un recente sondaggio effettuato tra i consumatori danesi, l’80% degli intervistati ha dichiarato di non aver cambiato le proprie abitudini in relazione all’acquisto di prodotti alimentari nonostante l’introduzione della tassa. Tra i più di 1000 i consumatori intervistati il 70% di loro è del parere che l’imposta non abbia avuto nessun impatto positivo sulla salute.
Secondo Klarskow e Gade il modo in cui viene applicata la tassa sui grassi saturi non incoraggia le persone a fare scelte più sane. Anzi, l’effetto ottenuto è che sempre più danesi si spingono a fare acquisti in Germania, come confermerebbe lo stesso sondaggio secondo il quale se, nel febbraio 2011 erano solo uno su tre i danesi che facevano acquisti di prodotti alimentari nella confinante Germania, ad un anno dall’introduzione della tassa sono ormai uno su due. Ma l’effetto più grave – si legge nell’articolo- è che a seguito dell’introduzione dell’imposta sono andati persi 1.300 posti di lavoro. Questo per i critici sta a significare come la fat tax stia in realtà danneggiando economicamente la Danimarca, il tutto a vantaggio dei vicini tedeschi, che, vista la situazione si guarderebbero bene dall’introdurre una misura simile.
Gli autori dell’articolo concludono chiedendosi se valga la pena proseguire su questa strada nonostante né i consumatori, né l’economia del Paese né la salute – a loro dire- ne abbiano tratto un vantaggio.
Lasciamo ai critici le loro opinioni. Tuttavia quello che è certo è che se tutti gli Stati membri adottassero una stessa linee comune in materia, come per altro auspicato dalla World Health Organisation si potrebbe sicuramente ragionare in termini diversi e a guadagnarci sarebbe sicuramente la salute dei consumatori.
sicurezzaalimentare.it – 21 ottobre 2012