Dall’1 luglio la soglia di detassazione dei buoni pasto elettronici è passata da 5,29 a 7 euro: una novità salutata con entusiasmo dalle aziende emettitrici, qualcuno parla già di aumenti di ordini da parte delle imprese fino all’80-85%, ma che ha sollevato qualche preoccupazione per le conseguenze sui lavoratori. Infatti il beneficio fiscale, introdotto dalla legge di stabilità 2015, si limita ai ticket elettronici.
La norma evidentemente vuole incentivare l’uso dei buoni pasto digitali, con il vantaggio di una immediata tracciabilità della spesa. Ma la maggiore tracciabilità si potrebbe tradurre in maggiori controlli, e quindi i lavoratori potrebbero trovarsi nella situazione di non poter più spendere i buoni pasto in blocchi di dieci al supermercato, come può succedere adesso, in barba alla legge che ne vieta la cumulabilità( ai fini della defiscalizzazione per l’azienda) e che lo definisce come “servizio sostitutivo di mensa”. Il Codacons parla di «grave violazione alla libertà dei cittadini» dal momento che «il buono pasto è un diritto acquisito del lavoratore, che può essere utilizzato a seconda delle esigenze del momento», e sta valutando l’ipotesi di una class action.
Di violazione, sicuramente, non si può parlare perché da sempre i buoni pasto sono, come scritto su ogni tessera elettronica e su ogni biglietto cartaceo, non cumulabili né cedibili nè convertibili in danaro: l’Art. 51 comma 2 del T.U.I.R (Testo Unico sulle Imposte sui Redditi) dispone che l’esenzione fiscale valga solo fino a 5,29 euro “giornalieri” (tetto ora elevato a 7 euro). Però si tratta di norme non sempre applicate alla lettera: dalle monumentali discussioni aperte sul tema in questi giorni sulla rete emergono le prassi più diverse, ci sono supermercati che accettano i buoni pasto in pagamento per tutta la spesa alimentare, o per metà della spesa alimentare, o che pongono un tetto al numero dei ticket senza badare al contenuto della spesa.
«Il cumulo è molto meno frequente di quanto si pensi – assicura Stefania Rausa, direttore marketing e comunicazione di Edenred Italia, azienda leader nel mercato – dalle nostre indagini di solito gli utenti nella maggior parte dei casi si limitano a spenderne due per volta. La legge stabilisce che la spesa di un buono fino a 7 euro gode di vantaggi fiscali, se se ne spendono tre o quattro per volta il datore di lavoro gode di quei vantaggi senza averne diritto, e quindi dovrebbe fare delle indagini per capire come si comportano i dipendenti per poi regolarsi di conseguenza. Le nostre aziende clienti non ce l’hanno mai chiesto, e comunque la tracciabilità esiste anche con il buono pasto cartaceo, che va datato e firmato. Ci possono essere delle distorsioni nella prassi, ma non credo che l’obiettivo del governo con questa norma sia quello di limitare l’uso dei buoni pasto, semmai è quello di spingere i consumi. Da un’indagine che abbiamo commissionato all’Università di Tor Vergata e OpenEconomics emerge che se l’aumento della soglia arrivasse al 70% dei buoni pasto (al momento la quota di quelli elettronici è tra il 15 e il 20%) ci sarebbe un maggiore introito fiscale di 936 milioni di euro l’anno per lo Stato».
20 agosto 2015