Tolleranza zero per chi riceve a carico delle pubbliche finanze emolumenti che, in virtù del disposto previsto dall’articolo 23-ter del decreto salva Italia, superano il trattamento economico percepito dal primo presidente della Cassazione.
Infatti, i soggetti che sforeranno il limite oggi fissato a 293.656 euro, subiranno il taglio tra la retribuzione in godimento fino a concorrenza di quanto sopra. Tale decurtazione non concorrerà a formare l’imponibile fiscale e sarà evidenziata in apposita nota nel cedolino delle spettanze quale «trattenuta ex articolo 23-ter del dl n. 201/2011».
Il trattamento da considerare, inoltre, sconterà il criterio di competenza e non di cassa e comprende anche il trattamento accessorio, anche se questo, di norma, viene erogato successivamente allo svolgimento della prestazione lavorativa. Restano comunque fuori da tale ambito applicativo coloro che hanno in corso rapporti di lavoro con amministrazioni regionali e locali.
Queste alcune delle indicazioni che il dipartimento della funzione pubblica ha ritenuto necessarie diffondere con la circolare n. 8 del 6 agosto, in ordine alla disciplina sui limiti retributivi operata dalla norma richiamata e alla luce delle indicazioni operative fissate dal relativo dpcm 23.3.2012 che è divenuto operativo il 17 aprile scorso, ovvero il giorno dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Ma il giro di vite sui super stipendi potrebbe essere ancora più rigoroso ed estendersi anche agli enti locali (in primis ai governatori regionali) o ai presidenti degli enti pubblici. In pratica non solo a coloro che hanno un rapporto di lavoro subordinato o autonomo con la p.a., ma anche a tutti quelli che sono a carico delle finanze pubbliche a vario titolo.
Il governo si è impegnato a non fare eccezioni. E lo ha fatto accogliendo un ordine del giorno alla spending review a firma del deputato Pd Simonetta Rubinato. La proposta punta proprio a rafforzare le disposizioni del decreto Salva Italia che potrebbero presentare più di un punto debole. A cominciare dall’inadeguatezza di un provvedimento come il dpcm a ridurre un trattamento economico fissato con legge ordinaria. Ecco perché l’odg Rubinato prevede che l’adeguamento dei compensi debba avvenire con un provvedimento avente forza di legge e non con un dcpm che, per inciso, non potrebbe obbligare una regione ad adeguare i compensi dei propri amministratori o dirigenti.
Un’altra falla nel sistema risiede nel fatto che il dpcm del 23 marzo non esclude che trattamenti inferiori al trattamento economico del primo presidente della Cassazione possano essere elevati a tale limite. Basta leggere l’art. 5 del dpcm per rendersene conto: «Per il personale con qualifica dirigenziale cui non si applica la disposizione di cui all’art. 3, a causa del mancato raggiungimento del limite massimo retributivo ivi previsto, le pubbliche amministrazioni provvedono, in occasione del rinnovo del contratto individuale di lavoro, alla ridefinizione del relativo trattamento economico».
«Ridefinizione», fa notare Rubinato, «è un termine assai generico che non necessariamente significa riduzione e che non esclude la possibilità di un ritocco verso l’alto degli stipendi inferiori a 293.656 euro». Cosa che puntualmente si è verificata in qualche Authority negli ultimi mesi. Di qui l’impegno al governo a evitare che il limite di stipendio di cui sopra finisca per produrre un effetto paradossale elevando tutti gli altri stipendi e quindi contribuendo a incrementare la spesa pubblica invece di ridurla.
Tornando alla circolare della funzione pubblica, il dipartimento guidato da Filippo Patroni Griffi chiarisce che il limite di stipendio si applica a coloro che sono titolari di rapporti con amministrazioni «attratte» all’ambito statale. Per esempio la presidenza del consiglio dei ministri, la Corte dei conti, le agenzie fiscali, gli enti pubblici non economici, nonché i componenti e i presidenti delle Authority.
Vigilanza affidata ai diretti interessati
Le operazioni di controllo sul corretto rispetto del limite partono dagli stessi interessati. Infatti, questi devono rendere all’amministrazione di appartenenza, sotto forma di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, l’elenco dell’incarico o degli incarichi conferiti con il relativo importo. Nel caso di soggetti che sono titolari di uno o più incarichi di lavoro autonomo, questi dovranno trasmettere la documentazione all’amministrazione «con la quale è in corso l’incarico prevalente dal punto di vista economico».
L’inoltro delle dichiarazioni (se non già effettuato dai soggetti obbligati per effetto della pubblicazione del citato dpcm 23.3.2012), dovrà avvenire entro il 30 novembre di ciascun anno. Il controllo delle amministrazioni riceventi è la parte più delicata dell’intero iter di verifica. Queste dovranno operare secondo il criterio di competenza delle somme (e quindi non per quello di cassa), accertando quanto spetti al dipendente nel complesso «in ragione d’anno».
A tal fine, la circolare precisa che deve essere incluso in tale ammontare anche la parte di trattamento accessorio, anche se, di regola, questo viene corrisposto nell’anno successivo all’espletamento della prestazione lavorativa (è il caso, per esempio, della retribuzione di risultato dei dirigenti). Il taglio non avrà effetti sugli atti già sottoscritti, nel senso che, come ammette la circolare di Palazzo Vidoni, non sarà necessario nei casi di sforamento sottoscrivere un nuovo contratto o un nuovo incarico.
Pertanto, i soggetti che sforeranno dal limite di 293.656 euro, subiranno una decurtazione pari alla differenza tra il trattamento complessivo goduto e il predetto limite. Quest’importo non sarà incluso nella massa imponibile (ovvero non si pagheranno le tasse) e sarà indicato separatamente nel cedolino delle spettanze stipendiali. In termini operativi, l’amministrazione comunicherà al soggetto che sta procedendo alla riduzione e, nell’anno successivo, operare la decurtazione vera e propria.
Occorre considerare che il trattamento del primo presidente della Cassazione varia di anno in anno, per cui le riduzioni dei trattamenti devono essere effettuati sulla base del dato disponibile relativo all’anno precedente. Per quanto riguarda i limiti per i soggetti che prestano servizio presso altre amministrazioni pubbliche, mantenendo il trattamento economico previsto dall’amministrazione di appartenenza (per esempio, i fuori ruolo), la circolare di Patroni Griffi ricorda che anche per tali soggetti vige il limite di cui sopra, con la precisazione che per l’incarico ricoperto, questi non possono percepire più del 25% dell’ammontare complessivo del trattamento riconosciuto dalla propria amministrazione.
ItaliaOggi – 8 agosto 2012