In Sardegna, nel giorno dei funerali – a Olbia vi ha partecipato il ministro dell’Integrazione Cécyle Kyenge – si fanno i primi esercizi con l’aritmetica del disastro. Per la Protezione Civile sono 1.750 gli sfollati. Per la Croce Rossa, 2mila.
Intanto, appare sempre più chiaro che i danni economici maggiori sono concentrati sul settore primario. Un miliardo secco, nel calcolo della Coldiretti. Una stima onnicomprensiva. In questa somma, c’è tutto: infrastrutture, aziende agricole, allevamenti, campi, frutteti, uliveti. «In queste ore – spiega da Cagliari Giuseppe Casu, segretario di Giovani Impresa di Coldiretti – stiamo effettuando un lavoro chirurgico. Per esempio, dobbiamo ancora capire quante sono le greggi di pecore disperse».
Meno apocalittico, e più mirato, il conto paventato da Confagricoltura. «Nell’occhio del ciclone – racconta Gregorio Raspitzu, presidente di SassariOlbia-Tempio – c’è la metà delle 35 imprese che si dedicano all’allevamento in purezza. I danni diretti ammontano a 50 milioni di euro». Gli effetti maggiori non riguardano il bestiame, quanto la dimensione più agricola. «Prendiamo il mio caso – dice Raspitzu – i miei 120 vitelli da carne di razza Limousine si sono salvati tutti, mettendosi al riparo degli uliveti, che hanno tenuto. L’agrumeto invece è stato sommerso dall’acqua. Il problema è la semina autunnale che sarebbe dovuta servire per il foraggio destinato alle bestie l’anno prossimo».
Dunque, le cose si complicano in prospettiva: «Un altro danno ancora tutto da conteggiare – rileva Mario Guidi, presidente nazionale di Confagricoltura – è costituito dai foraggi stoccati. In ogni caso, la stagione è compromessa». Agrumeti, magazzini, campi e alcune specifiche coltivazioni: «Sembrano coinvolte – nota l’economista Ersilia Di Tullio, coordinatrice dell’osservatorio sulla cooperazione agricola di Nomisma – anche le carciofaie». In questi primi giorni, non è semplice aggiornare la cartina della calamità. C’è, però, un dato idrogeologico sottostante. «Il nostro terreno – nota Raspitzu – è a disfacimento granitico. L’acqua, se cade violenta, non vi penetra». Non penetra e, poi, non defluisce, creando l’effetto straniante della risaia nel centro del Mediterraneo.
«La calamità naturale – nota Sandro Dettori, direttore del dipartimento di scienza della natura dell’università di Sassari – è stata frenata dall’abbandono dei pascoli sulle montagne della Gallura, che ha consentito una fisiologica riforestazione che si è opposta alla forza delle acque, ma è stata allo stesso tempo favorita dalla scarsa manutenzione dei fossi, delle scoline e dei boschi, dovuta al medesimo fenomeno di ridimensionamento del settore primario». Terra e acqua. Per gli animali e per gli uomini, adesso, c’è anche il rischio della qualità dell’acqua: venti depuratori e sei potabilizzatori non funzionano più.
Ora, peraltro, si teme un effetto domino su altri pezzi del già gracile apparato produttivo sardo. Per esempio la filiera del formaggio. «Un decimo del latte che usiamo – spiega Paolo Pinna, responsabile marketing della Fratelli Pinna di Thiesi – proviene dalle zone colpite. È ancora presto per capire se alcuni degli allevatori che ce lo conferiscono ha sofferto dei danni». La questione è, però, che non ci sono soltanto i danni fisici. Ci sono anche quelli finanziari. «Negli ultimi tempi – dice Pinna – avevamo cercato di ridurre gli anticipi e i prestiti agli allevatori. Data la restrizione del credito, non potevamo più fare loro da banca. Adesso, in queste condizioni di emergenza, torneremo però a questa pratica. Non ci tireremo indietro».
«Salvare il gregge» La sfida dei pastori contro la bufera
Una camicia strappata, un calzino spaiato, una scarpa sugli argini del rio Mannu, che vien giù ancora furioso dai monti fra Bitti e Onanì. Il disperso ormai è soltanto uno, Giovanni Farre, operaio/contadino di 62 anni. Se quei vestiti sono suoi, trovarlo vivo sarebbe un miracolo. Camicia, calzino e scarpa erano certamente nel suo casolare, spazzato via. Ieri hanno esplorato il fiume più di cento uomini, un elicottero, 6 squadre del soccorso alpino speleologico, 20 carabinieri del reparto speciale di Abbasanta; hanno battuto più di 30 chilometri. Oggi nuove ricerche, anche più vicino al mare. Ma ci sono quelli che ce l’hanno fatta a tornare e possono raccontarlo. Sono soprattutto pastori, alcuni non inseriti nell’elenco ufficiale dei dispersi, ma che per molte ore non hanno dato notizie. «Io vivo per la mia azienda, non potevo rimanere in casa e perdere il bestiame». Graziano Falconi di Fonni ha 500 vacche e vitelli e 600 pecore al pascolo sul Gennargentu. «Sembrava il diluvio universale, sul mio terreno il fiume si biforca, c’è un’isoletta nel mezzo, i vitelli vanno lì. Saltando fra le rocce mi è caduto il telefono e l’ho perso. Ho radunato gli animali, li ho salvati quasi tutti». Dato per disperso: le squadre di soccorso lo hanno cercato per ore. «Col fuoristrada non si andava avanti, ho deciso di tornare a piedi. Pochi metri ogni ora, bufera e buio. «Ero disperata — racconta la moglie — era notte inoltrata, ho sentito passi vicino a casa, si è aperta la porta e me lo sono visto davanti, stravolto, fradicio ma vivo». Quirico Ruju ha 400 pecore nella pianura di Torpè. Lunedì sera l’allarme: «Si è rotta la diga, fuggite a monte». Ma la sua azienda è in pianura. «Gregge in pericolo, dovevo andare. Acqua, telefoni fuori uso, non riuscivano a trovarmi. Tutta la notte a radunare le bestie». Disperso. «Solo la mattina sono riuscito a passare oltre la strada, l’acqua era alta più di tre metri. Oltre c’era la Protezione civile. Sono salvo, ma il fiume ha travolto 120 pecore». Un branco di capre, conigli, anatre, un podere nelle campagne di Ballao (Sarrabus Gerrei), Marco Mulas, 61 anni, si è avventurato per metterli al riparo nonostante il Flumendosa fosse uscito dagli argini. «L’acqua saliva sempre più, la strada e il fiume erano la stessa cosa». Allarme in paese: Marco è disperso. «Li vedevo dall’altra sponda, non potevano far niente». Infine, il trattore di un amico: «Ha tirato fuori me e anche il fuoristrada della Protezione civile affondato nel fango». Altri due sono stati salvati dall’elicottero: Salvatore Piras e Franco Cappai. E c’è anche chi, disperso e ritrovato, ha rifiutato di tornare. A Onanì quattro pastori sul «salto» comunale: tre salvati. Rimaneva Matteo: «Il pericolo lo conosco, la terra qui intorno pure, roba da mangiare ne ho — ha gridato ai vigili del fuoco che volevano issarlo sull’elicottero — andate pure». È ancora nel suo ovile, nella pinneta di pietre e frasche.
Il Sole 24 Ore e il Coriere della Sera – 21 novembre 2013