di Gianni Belloni. Agromafie è il contenitore, il contenuto è vario: contraffazioni, adulterazioni, lavoro nero, caporalato, riciclaggio, truffe, speculazioni finanziarie. Ecco i diversi reati che riguardano le filiere agroalimentari. Li enumera e li descrive il Rapporto annuale sulle Agromafie stilato da Eurispes insieme alla Fondazione “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, guidata da Giancarlo Caselli. Il Rapporto è stato presentato martedì scorso a Padova nell’ambito di un incontro promosso da Libera e Cisl.
Il “fatturato” delle agromafie è in aumento. Da 16 miliardi (cifra indicata negli anni scorsi) a 21,8 miliardi. Un incremento di circa il 30%. E sempre a proposito di numeri gli estensori del Rapporto hanno elaborato un indicatore che raffiguri l’intensità degli interessi agromafiosi in una singola provincia. L’indicatore è frutto dell’incrocio tra le quantità di azioni di contrasto e prevenzione delle forze dell’ordine – in particolare confisca di fondi europei a causa infiltrazione criminale e la relativa confisca di terreni – ed intensità di alcuni reati spia quali furto, estorsione, usura, contraffazione di marchi, incendi boschivi, associazioni a delinquere.
La classifica vede due venete svettare con Verona al terzo posto e Padova al dodicesimo, mentre Treviso si piazza al diciassettesimo posto. Secondo il Rapporto, «uno dei principali fattori che può aver contribuito a tale dinamica è costituito dall’allevamento dei suini, importati dal Nord Europa e indebitamente marchiati come nazionali». Il secondo indicatore è l’Indice di Permeabilità all’Agromafia (IPA) che permette di misurare il livello di “permeabilità” di un territorio rispetto alle sue caratteristiche economiche, sociali e criminali. Ed anche qui troviamo una provincia veneta in vetta con Rovigo al terzo posto. «Registriamo un salto di qualità nell’azione delle mafie in questo settore – racconta Romano Magrini, rappresentante della Coldiretti – in grado di condizionare il mercato con il controllo di settori della grande distribuzione». Le mafie agiscono in questo contesto, anche in Veneto, in una dinamica di «convenienza reciproca con gli imprenditori che nella loro offerta di servizi trovano una buona occasione per incrementare il business», dice il condirettore di questo giornale Paolo Cagnan, che ha moderato il dibattito.
Un fenomeno sfaccettato, dalle dimensioni economiche rilevanti che affonda le sue radici in alcune storture delle dinamiche agricole che portano oggi un quintale di grano duro valere all’incirca il prezzo di due pizze, meno di quanto costasse trenta anni fa e il cui prezzo non copre, di gran lunga, le spese di produzione sostenute dagli agricoltori.
A lavorare in campagna, da decenni, sono poi arrivati gli immigrati, ricattabili dal punto di vista lavorativo ed amministrativo. Anche quando la protesta, come a Nardò, ha riacceso i riflettori sulla loro condizione, lo sfruttamento è proseguito.
Il Mattino di Padova – 16 marzo 2018