La proposta «è già stata scritta» e sarà depositata in consiglio regionale «a giorni». L’ha messa a punto il sindaco di Verona Flavio Tosi, insieme al gruppo che a lui fa riferimento a Palazzo Ferro Fini (tre liste, cinque consiglieri, più di Forza Italia, gli stessi del Movimento Cinque Stelle), e prevede l’equiparazione dello stipendio dei consiglieri a quello del sindaco di Venezia.
Quello originario, non quello penalizzato dallo sforamento del patto di Stabilità e neppure quello percepito oggi da Luigi Brugnaro che è pari a zero perché il patron di Umana, ricco di suo, ha deciso cavallerescamente di rinunciarvi. Insomma, stiamo parlando di 86 mila euro lordi all’anno.
Leggendo, dalle parti del Ferro Fini qualcuno avrà avuto un’extrasistole. Lo stipendio annuale lordo dei consiglieri, infatti, si aggira attorno ai 160 mila euro, per cui se mai passasse la proposta di Tosi (se mai arrivasse in aula sarebbe meglio dire, visti i precedenti) la busta paga «della vergogna», come l’ha definita il capogruppo del Movimento Cinque Stelle Jacopo Berti, risulterebbe drammaticamente dimezzata. Ma andrebbe peggio se, invece di quella di Tosi, passasse la proposta già depositata dallo stesso Berti: 60 mila euro lordi all’anno e stop. Qualcun altro dirà: ma l’equiparazione dello stipendio del consigliere regionale con quello del sindaco del capoluogo di Regione non è già prevista? In effetti, è inserita nella riforma «Boschi» approvata in seconda lettura al Senato una settimana fa (peraltro col voto favorevole delle tre senatrici «tosiane»), riforma attesa ora alla Camera per il secondo giro previsto dall’iter di modifica della Costituzione e poi dal referendum. Se resisterà fino alla fine, l’articolo 122 della Carta sarà così ritoccato: «Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi e i relativi emolumenti nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione ». A questo si riferiva il presidente del consiglio Roberto Ciambetti quando nei giorni scorsi, intervenendo nella polemica scatenata da Berti, avvertiva sibillino: «Se passerà la riforma dovremo limare ancora…».
Ma allora il pdl Tosi a che serve? «Ribadisce l’equiparazione ma soprattutto chiarisce che oltre a quel compenso, null’altro sarà dovuto – spiega il sindaco di Verona -. La busta paga dei primi cittadini, infatti, riporta una sola voce per il compenso mentre quella dei consiglieri cumula voci diverse: indennità di carica, di funzione, diaria. Vogliamo evitare il giochetto per cui si stabilisce un’indennità base pari a quella del sindaco di Venezia, ma poi si gonfia la busta paga lavorando sul contorno». Tosi, 7 anni in Regione come consigliere e come assessore, sorride quando gli si chiede se sia vero che tra contributi al partito, campagne elettorali da ripagare e «politica sul territorio» a Palazzo Ferro Fini non è che se la passino poi così bene come vorrebbe la vulgata. E continua: «Beninteso, il sindaco di una grande città vive bene col suo stipendio. E però non c’è paragone tra l’impegno e le responsabilità di un primo cittadino e quelli di un consigliere regionale che guadagna tre volte tanto. Così come trovo profondamente sbagliato che, all’interno della stessa Regione, un consigliere prenda sostanzialmente gli stessi soldi di un assessore. Si tratta di storture che vanno corrette al più presto e dopo i consiglieri regionali, penso si debba pensare a deputati e soprattutto agli eurodeputati, che davvero pigliano uno sproposito». E se lo dice lui, che a Bruxelles fu eletto nel 2014 e ha rinunciato al seggio per restare a Verona…
Il Corriere del Veneto – 29 gennaio 2016