Il saldo è positivo (sono più le aziende che aprono di quelle che hanno cessato le attività), ma da gennaio a settembre in Italia hanno chiuso i battenti 279.000 imprese, 1.033 al giorno.
Lo afferma la Cgia di Mestre che sostiene che ad aprire «siano aziende con dimensioni occupazionali molto contenute, mentre quelle che chiudono sono quasi sempre delle attività strutturate con diversi lavoratori alle loro dipendenze. Prova ne sia che il tasso di disoccupazione sta crescendo in maniera preoccupante».
«Molte persone hanno aperto un’attività in questi ultimi anni di crisi, non perchè in possesso di una spiccata vocazione imprenditoriale, bensì dalla necessità di costruirsi un futuro occupazionale dopo esser stati allontanati dalle aziende in cui prestavano servizio come lavoratori dipendenti».
Afferma Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia. «Questa dinamicità del sistema – aggiunge – è un segnale positivo, ma non sufficiente a tranquillizzarci. Se entro i primi 5 anni di vita il 50% delle aziende muore per mancanza di credito, per un fisco troppo esoso e per una burocrazia che spesso non lascia respiro, c’è il pericolo che la tenuta di buona parte di questi neoimprenditori, figli della difficoltà economica che stiamo vivendo, sia inferiore a quella di coloro che hanno avviato un’attività prima dell’avvento della crisi».
I dati riferiti all’artigianato sono ancor più preoccupanti, afferma infine la Cgia: negli ultimi tre anni il saldo nazionale della nati-mortalità delle aziende di questo settore presenta sempre un segno negativo: -15.914 nel 2009, -5.064 nel 2010 e -6.317 nel 2011. Nei primi tre mesi del 2012 (ultimo dato disponibile) il saldo ha toccato la punta massima di -15.226: i settori più in difficoltà sono quelli delle costruzioni, le attività manifatturiere e i servizi alla persona.
Corriere.it – 2 novembre 2012