L’Africa occidentale è una polveriera, pericolosa per sé ma anche per il resto del mondo. «I numeri dell’epidemia di Eboia sono gravi, non bisogna abbassare la guardia. E’ necessario contenere il più possibile i focolai», avverte Antonio Vigilante, vice rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite.
Emergenza numero uno: impedire la diffusione del virus. Per questo il governo francese ha chiesto ad Air France di sospendere « temporaneamente» i voli su Freetown, capitale della Sierra Leone, a causa dei timori provocati «dall’evoluzione dell’epidemia e la situazione del sistema sanitario», si legge nella nota del Consiglio dei ministri. E la compagnia aerea ha deciso di attenersi alle raccomandazioni del governo di Parigi, interrompendo i collegamenti con Freetown ma « confermando il programma di voli da e verso la Guinea e la Nigeria».
SISTEMA AL COLLASSO
Le frontiere con l’Africa vengono progressivamente sigillate, negli aeroporti si intensificano i controlli, in tutti gli scali di Tunisi sono state adottate le misure di prevenzione straordinarie. Per chi deve convivere con Eboia l’esistenza è una sfida quotidiana: in Nigeria il ministero dell’Istruzione ha posticipato di un mese la riapertura delle scuole, che slitta al 13 ottobre, mentre a Kailahun, nella parte orientale della Sierra Leone, l’Oms ha chiuso un laboratorio per i test su Eboia dopo il contagio di un medico senegalese. Ma come avverte la presidente internazionale di Medici senza Frontiere (Msf), Jeanne Liu, ciò che serve ora è un intervento drastico e massiccio: «Non potremo contenere l’epidemia senza maggiori centri per il trattamento, azioni coordinate, strumenti logistici e operatori sanitari. Intere famiglie sono state spazzate via, medici e infermieri stanno morendo. Il virus ha già ucciso più persone di ogni altro caso di Eboia nella storia e continua a diffondersi senza sosta». Secondo Joanne Liu, «il numero delle vittime è esacerbato da una nuova emergenza: la popolazione sta morendo per malattie facilmente curabili come la malaria e la diarrea, poiché la paura del contagio ha portato al collasso dei sistemi sanitari locali». Con conseguenze tragiche: in Liberia, una settimana fa, in ventiquattr’ore sei donne incinte hanno perso i loro bambini, non trovando un centro che le ricoverasse.
INTERVENTI IMMEDIATI
Ciò che manca, secondo Msf, è un’azione forte. L’Oms ha dichiarato l’epidemia «emergenza di salute pubblica di interesse internazionale» e ha annunciato ulteriori fondi per combattere la malattia. La Banca mondiale ha stanziato un fondo di emergenza di 200 milioni di dollari, il segretario generale dell’Onu ha nominato un inviato speciale per Eboia nelle zone calde. Nonostante ciò 1.500 persone sono già morte, sottolinea Jeanne Liu. «Per prevenire altri decessi, risorse economiche e iniziative politiche devono essere tradotte in un’azione immediata e concreta. Abbiamo bisogno di medici e di specialisti delle emergenze per tracciare tutti coloro che potrebbero essere stati infettati, per sensibilizzare le persone riguardo le misure protettive e per lavorare nei centri di trattamento. C’è’ bisogno di molte più persone sul campo, ora».
Claudia Guasco – IL Messaggero – 28 agosto 2014