I numeri dell’agricoltura biologica continuano a crescere, ma paradossalmente il settore soffre. Per una disponibilità di prodotti che non soddisfa la domanda, e per i sempre maggiori flussi d’importazione da paesi terzi che mettono a dura prova gli operatori. E questo, con una proposta di riforma delle norme comunitarie presentata dalla Commissione che non piace a nessuno.
Con l’innovazione e le tecnologie degli ultimi anni il baricentro dell’agricoltura si è spostato progressivamente da una produzione indifferenziata, a una di qualità, tipica del territorio, che fa più ricorso alla chimica verde e alle energie rinnovabili. E la diffusione di quella biologica testimonia questo processo, che nell’Unione europea ha visto aumentare del 6% le superfici «dedicate», con un giro d’affari di circa 18 miliardi, spinto dalla crescita dei consumi.
A un recente convegno della Cia-Confederazione italiana agricoltori che si è tenuto a Bruxelles, dove sul tema si sono riuniti anche il Copa-Cogeca (organizzazioni e coop europee), è emerso che la Germania conta ormai su un mercato interno di oltre 7 miliardi, la Francia di 4. Nel Regno Unito il settore vale 2 miliardi, in Italia 1,9 miliardi, che salgono a 3,1 tenendo conto dell’export. E sempre nel nostro Paese, la superficie agricola coltivata quest’anno ha superato 1,3 milioni di ettari, pari al 10% di quella complessiva, con un incremento di quasi il 13%; gli operatori attivi nel settore sono oltre 52mila (+5,4%).
Il problema è che queste performance sono in parte vanificate dal pressing dell’import dai mercati extra-Ue. Merci in arrivo da 130 paesi, con 70 standard produttivi diversi da quelli fissati dall’Unione, che talvolta sfuggono alle maglie dei controlli, creando le premesse per un mercato «parallelo». Solo in Cina, ad esempio, esistono dieci organismi di controllo per il biologicocheapplicanoparametridiversi.
E d’altra parte, negli ultimi dieci anni la domanda di prodotti bio nella Ue è quadruplicata, mentre la produzione è appena raddoppiata. E le frodi sono una possibile conseguenza di questo scenario.
Da qui la necessità di una revisione delle regole comunitarie. Ma la proposta presentata dalla Commissione nel marzo scorso è stata subito criticata da più paesi, tra cui l’Italia. Mentre la Germania, sostenuta da Olanda e Danimarca e altri partner, ha dato vita addirittura a una «minoranza di blocco», giudicando la proposta di riforma dell’esecutivo non sufficiente a garantire operatori e consumatori.
«A questo punto – osserva Paolo Carnemolla, presidente di Federbio, in rappresentanza della filiera italiana – la riforma rischia di essere bloccata dall’intransigenza politica di pochi paesi membri. Mentre noi, come del resto tutto il movimento europeo rappresentato da agricoltori e operatori del settore, da tempo chiediamo semplicemente un aggiornamento delle norme già esistenti, che prevedano una maggiore flessibilità sui residui di principi attivi nei prodotti bio e un allargamento alle aziende “miste” che consentirebbero di aumentare l’offerta sul mercato comunitario».
La riforma priorità per l’Europa
La riforma del settore biologico è una priorità nell’agenda del ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina. Che il 15 dicembre prossimo, a Bruxelles, presiederà l’ultimo Consiglio dei ministri agricoli del semestre di presidenza italiana Ue.
Ad un forum organizzato da «Agrisole-Il Sole 24Ore» (si veda Il Sole 24 Ore del 4 dicembre) il ministro ha detto che a fronte di «una forte spinta da parte della nuova Commissione» a sostegno della propria proposta, l’Italia cercherà di «raggiungere un accordo parziale con un nuovo documento», visto che sulla riforma «c’è una discussione complessiva che probabilmente non ci consentirà di chiudere la partita».
Un confronto dunque difficile, anche per le posizioni ancora distanti tra alcuni paesi su passaggi chiave, come i residui di principi attivi e le importazioni dai mercati extra-Ue.
Al tavolo del Consiglio Ue, il ministro Martina porterà però altre due partite non meno importanti. La prima è rappresentata da «un documento di impegno sui giovani agricoltori, con un piano che prevede investimenti con l’inserimento della Banca europea». E poi c’è la questione ancora aperta delle quote latte.
In vista della fine del regime comunitario, nel marzo 2015, il ministro ha detto che l’Italia «sta lavorando a un documento che prospetterà tre quattro strumenti operativi per uscire in modo soft dal sistema». Posto che «le vecchie multe dovute andranno pagate».
Il Sole 24 Ore – 6 dicembre 2014