Mentre italiani e turisti sopportano con stoicismo la quinta ondata di caldo africano dell’estate, con massime spesso oltre i 35 gradi e picchi che hanno superato i 40 (anche se la controversa misura della “temperatura percepita” toccherebbe addirittura i 54 gradi a Grazzanise, in Campania, e i 50 a Ferrara), la scienza mette in guardia da un pericoloso alleato della temperatura: l’umidità. Un connubio che potrebbe rivelarsi letale per milioni di persone tra il 2071 e il 2100, con ondate di caldo umido capaci di uccidere in poche ore A metterci in guardia è uno studio pubblicato su Science Advances da climatologi del Massachusetts Institute of Technology. Che però precisano: l’area più colpita sarà il Sudest asiatico. La proiezione delle ondate letali si basa sull’ipotesi – pessimistica, anche se ormai abbastanza realistica – che continui l’odierna inefficacia dei governi mondiali nel raggiungere l’obiettivo principale degli accordi di Parigi: contenere il riscaldamento globale entro 2 gradi dai livelli pre-industriali. Sotto questo aspetto, sia l’Europa che gli Stati Uniti sono indietro, come sottolinea una dura presa di posizione di sei climatologi di spicco su Nature. E anziché trovare soluzioni immediate, si prende tempo: l’ultimo episodio arriva da Washington con la recente istituzione in seno all’Environmental Protection Agency di due squadre contrapposte di esperti. Da una parte i sostenitori del ruolo dei gas serra nel riscaldamento globale, dall’altra gli “scettici” (come il presidente Trump). Fino a quando una delle due squadre non ha avrà la meglio non si prenderanno decisioni.
Un’ignavia che il nuovo studio del Mit fa risaltare ancora di più: la combinazione micidiale di calore e umidità indicata con la sigla “35C WBT” (35 gradi di temperatura “a bulbo umido”, misura che esprime sia il calore che l’umidità nell’aria) colpirà tra cinquant’anni la maggior parte di India, Pakistan e Bangladesh, rendendo l’aria irrespirabile per il 30% della popolazione locale (oltre 500 milioni di persone). Le ondate intense – quelle che raggiungono i 35 gradi e non lasciano possibilità di raffreddarsi sudando, per via della concentrazione di umidità – potrebbero toccare, e si tratterebbe di un tocco mortale perché in sei ore possono uccidere un uomo sano, il 4 per cento della popolazione del Sudest asiatico.
Tutto questo mentre un altro recente studio di 98 ricercatori internazionali, che hanno costruito il più ricco e completo database sulle temperature ambientali degli ultimi 2000 anni, mostra che la temperatura media del mondo era in leggero ma costante calo fino al diciannovesimo secolo, e solo dopo – in sincronia con le aumentate attività umane – ha preso a salire fino ai massimi contemporanei. «Il raffreddamento che abbiamo riscontrato studiando tutta una serie di fonti, come i sedimenti nel terreno, i ghiacci più profondi, i fossili, può spiegarsi in diversi modi, per esempio con cambiamenti nell’attività solare o lievi spostamenti orbitali » spiega Barbara Stenni, docente all’Istituto di scienze ambientali all’Università Ca’ Foscari, coautrice dello studio. «Quella che è certa e inequivocabile è l’impronta umana dopo la rivoluzione industriale. Da questo punto di vista, lo studio degli scienziati americani che estende le sue proiezioni fino al 2100 è purtroppo in linea con quanto trovato nella nostra analisi che va dal passato al presente ». Va detto che gli studiosi del Mit hanno elaborato anche uno scenario più ottimistico: se riusciremo a rispettare gli accordi di Parigi, niente stragi all’orizzonte, e la percentuale di popolazione del Sudest asiatico esposta a rischi per la salute scenderà al 2 per cento. Trump permettendo.
Repubblica – 4 agosto 2017