Pensione di garanzia per i giovani e per i quarantenni con carriere discontinue, meccanismi di uscita che non penalizzino le donne e rafforzamento della previdenza complementare: sono i temi in cima all’agenda pensionistica delle prossime settimane, con lo sguardo rivolto alla legge di bilancio autunnale.
Sull’individuazione di queste priorità Governo, Pd e sindacati sono sostanzialmente d’accordo, pur con ricette diverse. Almeno sulla base di quanto emerso ieri sera nel corso del seminario organizzato dal Pd sul tema “giovani e pensioni” al quale hanno partecipato, tra gli altri, il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, il vicesegretario del Pd, Maurizio Martina, il responsabile lavoro dei Democratici, Tommaso Nannicini e i leader di Cgil, Cisl e Uil. Nel confronto è emersa un proposta concreta su uno dei temi più caldi: l’introduzione di una pensione contributiva minima di garanzia di 650 euro mensili per chi è in possesso di 20 anni di contribuzione. A illustrarla è stato Stefano Patriarca, consigliere economico di palazzo Chigi. Secondo Patriarca il trattamento di garanzia per i giovani, e per tutti coloro che sono stati assunti dal 1° gennaio 1996, in particolare se con carriere discontinue, che non beneficiano delle integrazioni al minimo previste invece dal sistema retributivo, si dovrebbe tradurre in «un minimo previdenziale, come nel retributivo, che si può immaginare, a 650 euro per chi ha 20 anni di contributi, che possono aumentare di 30 euro al mese per ogni anno in più fino a un massimo di mille euro». In questo modo verrebbe garantito un tasso di sostituzione medio del 65 per cento. L’assegno scatterebbe anche per gli anticipi. «Bisognerebbe immaginare un sistema di redditi ponte» attraverso l’Ape social, quella volontaria, e la previdenza integrativa», ha aggiunto Patriarca, che ha suggerito di «creare un fondo di solidarietà per il sostegno alle basse contribuzioni».
Il ministro Poletti ha sottolineato che quella della pensione contributiva di garanzia è una delle questioni da affrontare in tempi rapidi, pur tenendo conto della sostenibilità del sistema, come peraltro già previsto dalla cosiddetta “fase 2” dell’accordo con i sindacati del settembre del 2016. Poletti ha indicato come prioritaria la riduzione delle penalizzazioni per le donne e per i giovani, ed ha citato il dato del 26% di domande di accesso all’Ape social presentate dalle donne per sottolineare la difficoltà delle lavoratrici a «raggiungere 30 o 36 anni di contributi», perché spesso impegnate nel lavoro di cura dei familiari. Così come la difficoltà di cumulare un montante contributivo che assicuri una pensione dignitosa ai giovani con carriere discontinue: «Occorre trovare uno strumento che possiamo chiamare pensione di garanzia o come vogliamo».
Nannicini ha annunciato che il Pd presenterà una proposta per introdurre una «forma di garanzia per i giovani e rivedere il meccanismo di adeguamento automatico dell’età pensionabile alle aspettative di vita», con «soluzioni diverse per tra chi sta totalmente nel contributivo e chi no», che tenga conto anche «delle diverse aspettative di vita» come previsto nel verbale d’intesa con i sindacati visto che non tutti i lavori sono uguali. «Il sentiero è stretto – ha aggiunto – bisogna tenere insieme le due equità, non in conflitto tra di loro, perché la sostenibilità finanziaria del sistema garantisce un’equità attuativa che deve sposarsi con l’equità sociale tra generazioni». Nella riflessione di Nannicini, la fiscalità generale dovrà farsi carico della pensione di garanzia dei giovani, in chiave ridistributiva.
No a qualsiasi innalzamento dell’età pensionabile da Susanna Camusso: «Siamo pronti a mobilitarci contro l’incremento a 67 anni nel 2019». Per Annamaria Furlan «bisogna favorire la diffusione della previdenza complementare oggi limitata ai lavoratori con condizioni lavorative medio alte». Secondo Carmelo Barbagallo «occorre creare una base contributiva figurativa per recuperare i vuoti contributivi di donne e giovani».
Il Sole 24 Ore – 18 luglio 2017