L’amara conclusione è che, in fondo, della lotta alla corruzione interessa poco o niente a qualcuno. Il caso della neonata Autorità nazionale anticorruzione (Anac) è emblematico.
Da più di un anno – da quando si chiamava ancora Civit (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche) e la legge 190 del 2012 la investì del nuovo ruolo – funziona a scartamento ridotto. Appena trenta persone, alcune delle quali a tempo determinato, che devono occuparsi di misurazione delle performance delle pubbliche amministrazioni, di trasparenza, di lotta alla corruzione e finanche di benessere organizzativo.
Non è, però, l’unico segnale del disinteresse verso un tema così importante. Nell’autunno scorso il decreto legge 101 sulla razionalizzazione della pubblica amministrazione ha pensato di rimettere mano alla Civit, trasferendo le competenze sulla misurazione e valutazione delle performance all’Aran e quelle sulla qualità dei servizi pubblici al dipartimento della Funzione pubblica. Dopo un braccio di ferro tra questo e la Civit, l’operazione alla fine è abortita. La legge di conversione (legge 125) ha, infatti, mantenuto tutte le competenze in capo alla Civit, ribattezzata Anac.
Con la nuova denominazione è arrivata, però, anche una diversa composizione dell’Autorità. È stato, infatti, previsto che l’attuale collegio di tre componenti si faccia da parte per lasciare il posto a una struttura di cinque persone (quattro componenti e un presidente). Le nuove nomine sarebbero dovute arrivare entro fine novembre e, invece, tutto tace. Così il vecchio collegio continua ad andare avanti fino a che non vedrà la luce il decreto di Palazzo Chigi con i nuovi nomi. Procedura sulla quale deve, però, dire la sua anche il ministero della Pubblica amministrazione, che deve indicare i componenti e il presidente (quest’ultimo insieme ai ministeri della Giustizia e dell’Interno). Eppoi occorre il parere del Parlamento.
Il Sole 24 Ore – 13 gennaio 2014