Il lago di Garda è contaminato in più punti da policlorobifenile diossina-simili. I livelli di queste sostanze sono allo stesso livello del 2011; una situazione immutata e che tale resterà per le «leggi» naturali che regolano il ricambio idrico del lago. Lo attesta l’Arpav, l’Agenzia regionale di protezione ambientale del Veneto.
L’ente ha infatti scritto alla Regione per poter dare risposta alla interrogazione del consigliere regionale Andrea Bassi alla giunta. Il vice capo-gruppo della Lista Tosi aveva chiesto: «Perché non sono state svolte le attività di campionamento sulle anguille contaminate da diossina e Pcb nel lago di Garda?». Dal 2011, è stato riconosciuto questo inquinamento di tale gravita per cui l’allora sottosegretario alla salute, Francesca Martini, aveva imposto il divieto di consumo e commercializzazione dei lunghi pesci lacustri e le tre Province affacciate sul Garda ne avevano vietato la pesca.
«Perché non sono stati effettuati i campionamenti previsti dalla Regione nel 2015. E per il 2016, finora non mi risulta che alcun prelievo di pesci sia stato fatto». La risposta da Venezia. «Il Piano di campionamento si sarebbe dovuto esaurire entro fine febbraio 2016», hanno ammesso dalla giunta regionale. «Il ritardo di effettuazione del campionamento», hanno proseguito, «deriva dall’andamento scarsamente piovoso, se non siccitoso, del periodo invernale che ha comportato la mancata discesa a valle delle anguille del lago e conseguente mancata pesca. Solo da fine marzo si sono avute le prime catture… Il ministero della Salute viene aggiornato sullo stato di avanzamento, ritardatario rispetto al previsto, del campionamento».
Poi il dettaglio: «Quanto allo stato di contaminazione ambientale» scrive la giunta, «risulta confermato un inquinamento diffuso (ovvero in più punti) e la possibile decontaminazione dei sedimenti da PCB non è ritenuta realizzabile». II perché lo spiega la relazione dell’Arpav. «Il lago di Garda», vi si legge, «ha un tempo di ricambio teorico delle acque di 26,8 anni». Ovvero «in assenza di ulteriori immissioni di inquinanti, le variazioni in termini di concentrazione possono essere apprezzate con monitoraggi dalla durata di decenni». La conclusione dell’Arpav: «Confrontando i dati più recenti (del 2015) con quelli del 2011, si può dire che non vi sono differenze significative e si può pensare che la contaminazione è di tipo diffuso». Nel 2011 le analisi di Arpav avevano interessato la sponda veneta del lago e in particolare i Comuni di Bardolino, Brenzone, Torri del Benaco e Garda per l’acqua, e anche Peschiera e Lazise per i sedimenti. I prelievi di acqua erano stati effettuati in tre stazioni. I prelievi di sedimenti avevano interessato uno strato di 20 centimetri, con quattro-cinque ripetizioni per sito, in dieci stazioni lungo tutta la costa veneta del lago. L’Arpav escludeva allora la presenza di diossine al di sopra del limite di quantificazione. Per i PCB, in asssenza di una normativa sanitaria nazionale di riferimento, le concentrazioni risultano molto al di sotto dei limiti previsti, per esempio, dalla normativa statunitense. Per quanto attiene ai sedimenti le concentrazioni di diossine e furani risultavano paragonabili a quelle riscontrate in ambienti lacustri non soggetti a pressioni antropiche connesse con scarichi di attività industriali. In assenza di riferimenti nazionali i valori risultavano inferiori al limite più cautelativo della normativa canadese.
L’Arena – 10 maggio 2016