Carlo Grande. Spiace dirlo, ma sembra proprio una tortura cinese il modo in cui vengono trattati alcuni animali nella terra del Dragone, Paese di immensa storia e civiltà: appunto per questo si può sperare che l’opinione pubblica e il governo comincino a prenderne coscienza. La sorte di elefanti, tigri, orsi e molti altri grandi predatori dipende anche (e molto) da loro.
La Cina è nel 70% dei casi il capolinea del traffico illegale d’avorio – lo trasformano in statuette, anelli, pettini, bastoncini – e questo provoca in Africa la morte di circa 100 elefanti al giorno, oltre 35 mila all’anno.
Dalla Tanzania proviene la maggior parte del contrabbando; tra il 2009 e il 2013 nella riserva di Selous Game gli elefanti sono scesi da 39 mila a 13 mila, il trend è analogo nel resto dell’Africa.
Nel marzo del 2013 in Tanzania arrivò una folta delegazione cinese con il presidente Xi Jinping, i compratori cinesi locali fecero incetta di avorio illegale (a 700 dollari al kg) che finì – dicono testimoni e riporta il «New York Times» – nelle valige dei diplomatici e dei businessmen al seguito.
Anche per le tigri, spiega con dovizia di dettagli e documenti l’associazione «Animal Asia», sono stragi e maltrattamenti: in Cina le allevano come galline, in gabbie piccolissime – ne hanno circa seimila – poi le uccidono e usano ossa, carne, pelle, il pene per improbabili miracolosi effetti.
Oggi in natura restano 3200 tigri, è scioccante. Una femmina nel corso della vita può avere fino a 15 cuccioli – ecco una buona notizia – ma nel territorio e nelle condizioni ideali per moltiplicarsi. L’habitat che resta potrebbe ancora ospitare popolazioni in salute, siamo ancora in tempo. Ma occorre una rivoluzione culturale: il business deve smettere di far leva sull’irrazionale delle masse o l’arroganza delle élite di nuovi ricchi.
Discorso analogo per gli «orsi della luna», la cui sorte non è meno crudele: pochi giorni fa è morto l’orso Oliver, simbolo delle torture nei confronti degli animali, tenuto per dieci anni in una gabbia piccolissima, con un catetere nella cistifellea per prelevargli quotidianamente la bile utilizzata nella medicina tradizionale del Sud Est Asiatico.
Un paio di metri cubi per un bestione alto quasi due metri, eppure Oliver aveva temperamento docile e giocoso, un elogio della mitezza: gli «Orsi della Luna» sono circa diecimila in Cina, hanno piaghe e deformazioni ossee, impazziscono e si feriscono, chi sopravvive a infezioni e paralisi compie atti autolesionisti, per evitarlo a volte gli allevatori estirpano denti e artigli.
Insomma, è ora che la Cina faccia la sua parte, non minima: oltre a chiudere le «fattorie della bile» deve smettere di alimentare il traffico di avorio, deve tutelare l’habitat e il benessere dei cittadini, non venire meno, insomma, alla grande civiltà di cui è portatrice.
Il libro a stampa l’hanno inventato loro, con un’infinità di altre cose: ci insegnino, ancora, che può e deve esistere un mondo nel quale non si cancellano tigri ed elefanti.
La Stampa – 9 dicembre 2014