Sono 88 le strutture che hanno fatto richiesta per diventare giardini zoologici. Ma sono soltanto dieci quelle che l’hanno ottenuta. Le altre, a 12 anni dalla direttiva europea che doveva regolare il sistema, non sono ancora a norma di legge.
Un mondo abbandonato a se stesso che continua ad esporre leoni, tigri, lemuri, scimpanzé e non solo. Fa pagare un biglietto in regime di più o meno totale evasione fiscale
Tra finte liane e rocce di cartapesta, in antri umidi o recinti assolati, in stagni dove scarseggia l’acqua, in teche di plastica troppo piccole, vivono migliaia di animali selvatici. Ci sono leoni, tigri, lemuri, scimpanzé, giraffe, boa, coccodrilli, cicogne, cammelli. Vivono in luoghi che si chiamano zoo-safari, parchi natura, acquari, mostre faunistiche, fattorie didattiche, zoomarine, bioparchi. Spesso nomi esotici vengono usati per indicare strutture fatiscenti, recinti polverosi, dove animali alienati si trascinano in movimenti ripetitivi e la natura che vorrebbero evocare è cancellata.
Quanti sono gli zoo in Italia? E in che condizioni vivono gli animali che vi sono rinchiusi? Chi ci guadagna? È difficile saperlo, perché sono molte le strutture che continuano a esporre animali senza nessuna licenza, a far pagare un biglietto in regime di più o meno totale evasione fiscale. È il business degli animali in cattività, dove si possono trovare vecchie famiglie circensi e nuovi imprenditori. Un mondo abbandonato a sé stesso dove nessuno vuole posare lo sguardo perché la merce esposta sono animali ingombranti, spesso pericolosi, che nessuno osa sequestrare, perché, fuori di lì, nessuno saprebbe dove metterli.
“Attualmente sono 88 le strutture che hanno fatto richiesta per avere la licenza di giardini zoologici e 10 le strutture che l’hanno ottenuta. Le altre non sono ancora a norma di legge”, spiega Alessandro La Posta del ministero dell’Ambiente. “La prassi è che chi vuole la licenza deve mandare una documentazione, questa viene valutata da una commissione, poi ci sono 18 mesi per mettersi in regola, ma i tempi si dilatano, noi mandiamo solleciti ma non abbiamo risposta”. Perché non intervenite? “Il nostro obiettivo è rendere le strutture a norma di legge, non chiuderle, quindi si temporeggia. L’alternativa sarebbe confiscare gli animali, ma poi dovremmo trovargli una sistemazione e questo ha un costo. E i soldi non ci sono”.
La legge, un pasticcio all’italiana
In Italia la maggior parte delle strutture che si chiamano giardini zoologici non ha ancora l’autorizzazione, in molti casi non sono stati fatti neanche i sopralluoghi. La legge che doveva dare vita ai “nuovi” zoo è diventata un pasticcio all’italiana. Sono passati infatti più di dodici anni dalla direttiva europea del 1999 che invitava gli Stati ad adeguarsi entro il 2002. In Italia la legge già parte in ritardo, viene promulgata nel 2005, l’Unione europea muove critiche, così viene rivista nel 2006, per i decreti attuativi si arriva al 2008. Passano altri quattro anni, ma ancora non si è pronti. “Siamo in fase di avviamento, abbiamo iniziato i controlli dalle strutture che avrebbero dovuto avere meno problemi, ma siamo in una fase di transizione e le norme sono abbastanza ermetiche”, ammette Ciro Luongo, responsabile del nucleo investigativo della Forestale. Eppure su alcuni punti la legge è molto chiara. “Per giardino zoologico s’intende qualsiasi struttura pubblica o privata avente carattere permanente aperta al pubblico almeno sette giorni l’anno che mantenga animali vivi di specie selvatiche”. Il testo precisa che il giardino zoologico deve partecipare a ricerche scientifiche, promuovere programmi di educazione, sensibilizzazione in materia di conservazione della biodiversità e mantenere un elevato livello qualitativo nella cura degli animali.
Repubblica – 10 agosto 2012