Mauro Calabrese. L’ordinamento europeo riserva alla Commissione una competenza esclusiva ad accertare e dichiarare illegittimo un aiuto o finanziamento erogato da uno Stato Membro, perché idoneo a falsare i meccanismi della libera concorrenza, non spetta quindi alle Regioni, autonomamente, qualificare come «aiuti di stato» gli indennizzi erogati agli allevatori, per l’uccisione di bovini, ovini, caprini o equini, provocati da specie protette di interesse scientifico, quali il lupo appenninico, nonché da cani randagi, specie con fondi appositamente stanziati dallo Stato centrale.
La sentenza
Con la sentenza del Tar Marche, 19 aprile 2016, n. 245, accogliendo il ricorso proposto da alcuni allevatori marchigiani, è stata quindi negata la natura di aiuti di stato agli indennizzi concessi per i danni subiti al patrimonio zootecnico, dichiarando illegittimi i provvedimenti con cui la Regione ha imposto il parziale recupero delle somme erogate tra il 2005 e il 2013, in mancanza di alcuna puntuale decisione della Commissione UE che le abbia qualificate come incompatibili con il mercato interno, disponendone il recupero, anche forzoso.
La Regione Marche
A sostegno dei provvedimenti impugnati, l’amministrazione regionale deduceva la natura di aiuti di stato, e non meri risarcimenti, per gli indennizzi in parola, quindi illegali, perché mai preventivamente comunicati alle istituzioni europee né erogati legittimamente in forma di «aiuti de minimis» nel rispetto della normativa vigente, ritenendo quindi più conveniente, anche per gli operatori zootecnici, optare, in autotutela, per un recupero parziale degli stessi, previa sanatoria, senza necessità di procedere tardivamente alla prescritta notifica alla Commissione, che ne avrebbe potuto disporre il recupero integrale.
Aiuti di Stato
L’articolo 107 del Tfue dichiara, in via di principio, contrarie ai principi dell’ordinamento europeo «le misure di sostegno finanziario concesso attraverso risorse pubbliche che siano idonee ad attribuire un vantaggio economico a talune imprese e ad incidere sulla concorrenza», prevedendo in ogni caso possibili deroghe quando tali misure siano finalizzate a realizzare «obiettivi di interesse generale chiaramente definiti». Per «aiuto illegale», quindi, ai sensi del Regolamento CE n. 659/1999, si intende ogni nuovo aiuto concesso in violazione sia dell’obbligo di notifica, che dell’obbligo di sospensione.
Come rileva la sentenza, tuttavia, la natura illecita rispetto al mercato interno di una misura concessa da uno Stato Membro, non discende in via automatica dalla violazione di tali obblighi procedurali, derivando dall’esito di un apposito procedimento formale di indagine svolto dalla Commissione UE, che potrebbe anche condurre, all’opposto, a una dichiarazione di compatibilità con il diritto Ue.
Recupero degli aiuti
Proseguono i giudici amministrativi, ad ogni modo, pur dopo la dichiarazione da parte della Commissione di incompatibilità con l’ordinamento europeo, non è previsto l’automatico e immediato recupero delle somme erogate da parte dell’amministrazione competente dello Stato Membro, dovendo l’esecutivo europeo valutarne, non solo, l’incompatibilità rispetto al mercato interno, come pure valutare la coerenza di procedere al recupero con i principi fondamentali dell’Unione. Solo a seguito della decisione della Commissione, unico organo legittimato ad imporre il recupero, indirizzata esclusivamente a uno Stato Membro, è demandato all’amministrazione interna competente di «adottare gli atti concretamente incidenti sulle situazioni giuridiche soggettive delle imprese beneficiarie».
Riserva di amministrazione
Accogliendo le doglianze avanzate dai ricorrenti, il Tribunale amministrativo riconosce l’esistenza, in merito alla rilevabilità della compatibilità di un aiuto di Stato, di una vera e propria «riserva di amministrazione» in favore della Commissione Europea, quale osservatorio privilegiato del complessivo assetto del mercato interno, in grado di valutare l’effettiva portata distorsiva della concorrenza tra imprese, anche per esigenze di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento degli operatori e nel rispetto della parità di trattamento, certamente non adeguate laddove l’iniziativa fosse lasciata alle singole amministrazioni territoriali di uno Stato Membro, seppure in via di autotutela.
Protezione animali
Inoltre, motiva la sentenza, le disposizioni regionali che prevedono gli indennizzi contestati, sono adottate in ottemperanza agli obblighi in tal senso direttamente imposti alle Regioni dalla normativa nazionale di protezione delle specie protette e di lotta al fenomeno del randagismo, dettate dalla legge n.281 del 1991, cd «Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo», nonché dalla legge n. 157 del 1991, recante «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio», le quali prevedono lo stanziamento a carico dello Stato dei fondi di finanziamento per le apposite misure indennitarie regionali disposte a favore degli imprenditori agricoli.
Competenza statale
Da tale inquadramento normativo, il Collegio deriva la conclusione che non spetterebbe in ogni caso alle Regioni valutare la conformità delle misure indennitarie con l’ordinamento europeo, derivando la decisione da una scelta discrezionale in tal senso operata dal legislatore nazionale, «evidentemente informata al principio solidaristico di cui agli articoli 2 e 3 Cost. », quali «principi inderogabili su cui poggia la Carta fondamentale, e in quanto tale prevalente anche su norme sovranazionali incompatibili».
Così ricostruito, per i giudici amministrativi, il riconoscimento degli indennizzi agli allevatori, deriva dalla scelta dello Stato, a fronte dell’impossibilità delle amministrazioni locali a prevenire efficacemente i danni al patrimonio zootecnico da parte di animali selvatici o inselvatichiti, di gravare l’intera collettività dell’onere di «tenere indenni gli agricoltori dai danni subiti per effetto della predazione», operando quel bilanciamento degli interessi riservato allo Stato centrale, anche, presumono i giudici, in considerazione della «complessa orografia del territorio nazionale», del tutto peculiare nel contesto europeo, e della natura di piccole e medie imprese della maggior parte delle aziende agricole italiane.
Fenomeni predatori
In conclusione, per il Tar marchigiano, non è improbabile, anche a fronte delle precedenti decisioni adottate dalla Commissione Ue in casi simili, ritenere la compatibilità con l’ordinamento europeo di tali misure indennitarie previste tenendo conto della oggettiva difficoltà di «prevenire in maniera adeguata i fenomeni predatori in aree geografiche particolarmente disagiate» ovvero «quando le mandrie e le greggi si trovano al pascolo», nonché in considerazione della maggiore onerosità dei costi se sostenuti da «aziende individuali o comunque gestite a livello familiare», come generalmente in Italia, non spettando in ogni caso all’amministrazione regionale di valutarne e decretarne l’incompatibilità e il recupero forzoso.
Il Sole 24 Ore – 3 maggio 2016