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Anisakis nel pesce crudo. Torna l’allarme: task-force Guariniello

Per non rimanere infettati dall’anisakis e far correre seri rischi gastrointestinali al nostro stomaco bisogna servire pesce solo dopo un congelamento a -20 gradi oppure mangiarlo cotto

È allarme sicurezza alimentare» e, come precauzione, addio pesce fresco in tavola se non lo si vuol cuocerlo bene. Guariniello ha riunito ieri nel suo ufficio l’assessore regionale alla Sanità, Paolo Monferino, e il direttore generale del ministero della Salute, Silvio Borrello, per porre le basi di «una più tempestiva ed efficace azione di prevenzione del consumo di pesce contaminato da anisakis, parassita sempre più presente nel pescato in vendita, in particolare in acciughe, sardine, pesce azzurro e molte altre specie ittiche». Anche il pesce di acqua dolce è ormai sotto «osservazione».

La ragione di tanto allarme è che questo parassita è in grado di provocare gravi disturbi gastrointestinali e in casi estremi la perforazione dell’intestino e dello stomaco. Più spesso si presenta sotto forma di sintomi subdoli, tipici dell’influenza intestinale: nausea, vomito, diarrea, forti dolori addominali.

A Guariniello sono pervenute numerose denunce di consumatori che sono stati male. «In particolare dopo aver mangiato pesce al ristorante. La circolare ad hoc del Dipartimento della Sanità pubblica veterinaria è chiara e dettagliata: il pesce crudo deve essere servito dopo averlo congelato a – 20 gradi per non meno di 24 ore. L’altra semplice misura di profilassi è cuocerlo ad oltre 60 gradi».

Eppure non va sempre così: oggi tira il pesce crudo e non si considera abbastanza il rischio anisakis. I consumatori più attenti si sono fatti una cultura su questo parassita intestinale che si trova, allo stato adulto, nell’addome dei mammiferi marini (balene, foche, delfini), più precisamente nello stomaco, visibile ad occhio nudo. Wikipedia informa: «Le specie di anisakis svolgono il ciclo biologico in ambiente marino. Le uova vengono rilasciate nell’acqua attraverso le feci dei mammiferi marini e si sviluppano vari stadi larvali». Piccoli crostacei se ne nutrono e a loro volta vengono ingeriti dai pesci. Così l’anisakis diventa ospite, e in percentuali altissime, nelle aringhe, triglie, merluzzi…

Guariniello: «Ormai non vi è un mare a rischio come un paio di anni fa quando scoprimmo l’inizio del fenomeno e i controlli solo di tipo cartolare che avvenivano nei porti. Adesso le segnalazioni di pescato infestato da questo parassita arrivano da ogni parte, quando si effettuano le adeguate verifiche, ma non sempre ciò avviene, e questo è un primo problema. Poi, vi è la questione del controllo a vista: il grossista o chi per lui, e lo stesso dettagliante in seconda battuta si attengono alla disposizione vigente del “controllo a vista” e quando arriva la denuncia del consumatore c’è chi si difende sostenendo di aver sottoposto campioni di pesce con anisakis alla verifica ma che in quel momento le larve del parassita non era visibili. Recentemente, sulla base di questa argomentazione, un giudice ha assolto un fornitore di pesce».

Il ministero detta la regola del «trattamento di congelamento, volto all’uccisione dei parassiti eventualmente sfuggiti all’esame visivo, da effettuarsi obbligatoriamente per i prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o quasi». Al ministero della Salute lo definiscono il «trattamento di bonifica preventiva». Lo si deve fare, precisa la circolare, per «la tutela del consumatore».

Un tale principio dovrebbe corrispondere all’interesse generale, a partire dalla catena commerciale che campa sulla qualità del pesce: nel 2010, in occasione del sequestro di 1200 kg di alici contaminate da anisakis al mercato di corso Ferrara, si disse: «Aprite il ventre dei pesci e se c’è il parassita si vede». Oggi sembra più sicuro congelarlo.

La Stampa – 12 giugno 2012

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