La lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione si ferma al primo gradino. A circa un anno dalla prima scadenza quasi la metà di Comuni, Regioni, Asl e ministeri ha rispettato l’obbligo di adottare il piano triennale anticorruzione. Va meglio per ministeri e Province, dove il tasso di adempimento è intorno al 7080%; più in affanno i Comuni, dove l’onere grava in egual misura su grandi e piccoli, senza sconti. Il primato dell’adempimento va al Nord Ovest (34%) e indietro resta il Sud (18% di adempimenti). Nel dettaglio, quasi un Comune su due, secondo l’ultimo censimento del dipartimento Funzione pubblica, non è riuscito a mettere a punto il primo degli strumenti per arginare il rischio di tangenti previsto per le Pa dalla legge 190 del 2012 (la legge anticorruzione). Qualcuno in più potrebbe in realtà aver adempiuto, “scordandosi” di segnalarlo per tempo alla banca dati “PerlaPa”, ma il risultato è comunque deludente.
Soprattutto se si pensa alle cronache di questi giorni con l’inchiesta su “Mafia capitale”, che ha dimostrato una volta di più come la Pa sia esposta in modo permanente al rischio di corruzione.
Lo strumento
Previsto dalla legge 190 insieme alla nomina in ogni ente di un Responsabile per la prevenzione della corruzione, il piano triennale di prevenzione della corruzione (Ptpc) è nato come strumento di analisi e monitoraggio. Sulla scia del Piano nazionale varato dalla Civit (ora Autorità anti-corruzione), ogni ente dovrebbe inserirviunamappaturadeisettoria rischio (la legge ne individua già quattro: appalti, concorsi, concessioni e sussidi) e indicare quali misure di prevenzione, accorgimenti e formazione specifica intende adottare.
Per fare un esempio concreto, una delle “classiche” misure di prevenzione (indicata anche nel Piano nazionale) è quella della rotazione di dirigenti e funzionari nei settori più esposti, che il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha scelto come prima risposta allo scandalo di “Mafia capitale”. Per Roma si tratta di accelerare rispetto a quanto stabilito dallo stesso piano che prevedeva l’avvicendamento per i dirigenti da oltre cinque anni nello stesso ruolo «entro il 30 settembre 2015» a quasi due anni dal varo del documento (firmato peraltro da un funzionario ora sotto inchiesta). Non va meglio al Comune di Napoli, che si è dato 16 mesi di tempo (da gennaio 2014 a maggio 2015) solo per preparare il regolamento con i criteri, rinviando a dopo questa fase la rotazione vera e propria.
Il copia-e-incolla
A frenare le norme anti-corruzione non c’è solo la mancata adozione del Piano. Tra chi il documento lo ha varato è diffuso il fenomeno dei piani-fotocopia: documenti assemblati sulla scia del Piano nazionale, senza adattamento alla realtà locale oppure, nel migliore dei casi, “ispirati” al lavoro proposto dal Comune più vicino. Se ne è accorta anche l’Autorità anti-corruzione, che nella Relazione sul primo anno di attuazione della legge segnala che «ha prevalso una logica di adempimento». Conferma Roberto Montà, presidente di Avviso pubblico, l’associazione degli amministratori pubblici contro le mafie che ha organizzato decine di corsi pratici per aiutare a scrivere i documenti: «Spesso i piani anticorruzione vengono percepiti dalla pubblica amministrazione solo come un onere burocratico e non se ne capisce concretamente il valore». Il copia-e-incolla è talmente diffuso che l’Authority di Raffaele Cantone nel regolamento sulla vigilanza varato a settembre ha deciso di considerare i piani-fotocopia come un caso di mancato adempimento, sanzionabile con multe che vanno da mille a 10mila euro. Su 151 segnalazioni sul tema arrivate all’Autorità, 64 riguardavano Pa non in regola e per otto di queste si sta arrivando alla sanzione. «Sta partendo una ricognizione più ampia sui piani adottati – annuncia Francesco Merloni, consigliere dell’Autorità con delega sul tema – e andremo a vedere cosa concretamente si è deciso di fare».
L’aggiornamento
Intanto sta per arrivare il primo ”tagliando” al Piano, che va aggiornato entro il 31 gennaio. In vista della scadenza l’Anac ha preparato una scheda standard che ogni responsabile della corruzione deve compilare e pubblicare sul proprio sito entro dicembre. Serve a evidenziare i controlli fatti nell’anno e i punti critici emersi nel piano.
Le best practice
Per alcune amministrazioni il Piano anti-corruzione è servito a mettere davvero sotto la lente tutti i possibili fattori di rischio. «Molto utile per individuare altre zone grigie – spiega Giuliano Palagi, esperto di Avviso pubblico – si è rivelata la formazione mista, che oltre ai funzionari coinvolge anche i politici». «Un modello di buona prassi è il documento della presidenza del Consiglio dei ministri – aggiunge Merloni -, che ha esaminato tutti i procedimenti di competenza, andando oltre le indicazioni di legge».
Il Comune di Milano ha predisposto una piattaforma online di whistleblowing, ovvero la segnalazione di comportamenti scorretti o illeciti riservata ai dipendenti comunali. «Partiremo a gennaio», annuncia Ileana Musicò, segretario generale della giunta Pisapia. Con il Piano, poi, questo Comune ha uniformato 105 procedure. Modelli di comportamento pratici, anche banali ma di impatto. Negli appalti, per esempio, il Piano è stata l’occasione per bloccare la “processione” degli operatori negli uffici. «Abbiamo eliminato ogni contatto inutile – conferma il vicesegretario Mariangela Zaccaria -: tutto, compresi i progetti complessi, viene ora pubblicato sul sito e le domande si fanno solo online».
Il Sole 24 Ore – 15 dicembre 2014