Elvira Naselli. La misura della gravità della situazione la dà Walter Ricciardi, il presidente dell’Istituto superiore di Sanità. Che – al recente convegno sull’antibioticoresistenza ospitato dall’istituto – mostra l’antibiogramma di un malato con la Klebsiella pneumoniae, uno dei tanti che, negli ospedali italiani, si ritrova resistente a venti diverse molecole di antibiotico, e sensibile soltanto ad una di esse. «Una situazione comune e tutto sommato fortunata – riflette Ricciardi – perché invece sono centinaia le persone con antibiogrammi resistenti a qualunque antibiotico. E in questi casi il paziente muore».
L’antibioticoresistenza – e lo sviluppo di superbatteri resistenti – è uno dei problemi di sanità a livello globale ed è tra le priorità sia dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che dei singoli governi, considerato che è responsabile di oltre cinquantamila morti tra Europa e Stati Uniti. E che le stime per il 2050 ne fanno la prima causa di decesso al mondo. In questo panorama l’Italia è tra le peggiori nell’Unione Europea, con circa 4500-7000 morti all’anno e circa 284.000 pazienti colpiti, dal 7 al 10 per cento di tutti i ricoveri. La resistenza ai farmaci rende difficile il trattamento delle infezioni. E parliamo di patologie molto comuni, dalle infezioni delle vie respiratorie, come la polmonite, a quelle del tratto urinario, della pelle e quelle post chirurgia.
«La Klebsiella, per esempio – puntualizza Gianni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Iss – è più che raddoppiata in poco tempo ed è il flagello delle terapie intensive, dove ci sono anche i pazienti più fragili. E sta aumentando la resistenza all’Escherichia coli e allo stafilococco, che ha già toccato il 35%. Come venirne fuori? Occorre innanzi tutto fare il possibile per limitare la diffusione delle infezioni in ambito ospedaliero, il vero punto nodale. E poi intervenire per un uso appropriato dei farmaci e per l’osservanza di semplici misure igieniche. Ovviamente bisogna anche pensare a nuovi antibiotici».
Quella delle nuove molecole è la vera nota dolente della questione. È dal 1987, infatti, che non è stato sviluppato nessun nuovo antibiotico. E se è vero – come ha ricordato Marcella Marletta, direttore generale dispositivi medici e del farmaco del ministero della Salute – che le aziende farmaceutiche non hanno interesse a fare ricerca su nuovi antibiotici perché non prevedono un ritorno economico, e che dunque andrebbero incentivate, è altrettanto vero che nel lontano 1978 – sbagliando clamorosamente previsioni – l’Oms dichiarò sconfitte le malattie infettive, di fatto bloccando ogni interesse – e investimenti – per la ricerca di nuovi farmaci.
E oggi? In realtà qualcosa si muove e lo ricorda Nicoletta Luppi, presidente e amministratore delegato di Msd Italia. «Stiamo sviluppando nuovi antibiotici e nuovi antifungini che arricchiranno il portfolio di quelli esistenti – precisa – e stiamo investendo anche nel settore veterinario e nella ricerca di nuovi vaccini per uso umano. Ci aspettiamo, però, che ci vengano riconosciuti l’innovazione della ricerca e percorsi di accesso differenziato». Un premio che di certo verrà considerato, visto che la creazione di nuove molecole – come ha sottolineato Roberto Bertollini, dell’Oms – è considerata priorità assoluta. «Il rischio – ha ammesso – è di ritrovarci tra qualche anno nella situazione in cui gli antibiotici non c’erano ancora, con malattie che riteniamo scomparse che possono invece colpire gravemente».
Repubblica – 23 febbraio 2016