Lorenzo Salvia, Il Corriere della Sera. Poteva andare peggio. Con il cambio di governo, e l’ingresso in maggioranza di Forza Italia e Lega, erano in molti a volerlo fuori. Da giorni si rincorrevano le voci sulla sua sostituzione con Guido Bertolaso, l’ex capo della Protezione civile, oggi consulente della Regione Lombardia. Ma alla fine il commissario all’emergenza Domenico Arcuri dovrebbe restare al suo posto. Almeno fino alla scadenza dello stato d’emergenza, perché a quello che è legato il suo incarico. Ma qui arriviamo al primo punto interrogativo.
Al momento lo stato d’emergenza termina il 30 aprile. Ma tra vaccini che mancano e varianti che corrono è difficile sperare che tra due mesi e mezzo sia tutto finito. Lo stato d’emergenza sarà prorogato, magari non in zona Cesarini come appena fatto con lo sci. E a quel punto bisognerà vedere se in parallelo sarà prolungato anche l’incarico di Arcuri. Per ora lui resta. «Primo sopravvivere» ha detto a chi ci ha parlato in queste ore, usando quello che è il motto di un altro grande navigatore della politica, Dario Franceschini. Ridimensionato nelle sue funzioni, anche se il suo orgoglio non gli consentirà mai di ammetterlo. Ma resta. Come mai?
«Se garantisce i vaccini come ha fatto con l’apertura delle scuole e le mascherine, aiutarlo sarà un dovere», dice malizioso Matteo Salvini. Ed è proprio in quella parola, «aiutarlo», la chiave per capire cosa è successo e cosa potrebbe succedere. «Insieme a Conte, a casa pure Arcuri!» urlava il segretario della Lega solo un mese fa. Conte a casa ci è andato, Arcuri no. E in politica nulla accade per caso. Dietro la linea più morbida di Salvini c’è il patto di desistenza che Arcuri sembra aver raggiunto con il leghista Luca Zaia, sulla via veneta alle forniture parallele di vaccino. Ma soprattutto quel richiamo all’unità che oggi il premier Mario Draghi ripeterà nell’Aula del Senato prima della fiducia. E che il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha chiesto a tutti i partiti, forse a Salvini un po di più, proprio nelle ore drammatiche in cui dava l’incarico all’ex presidente della Banca centrale europea.
Al commissario Arcuri resta l’approvvigionamento dei vaccini. Capitolo ancora complicato, visto che proprio ieri Moderna ha dimezzato il numero delle dosi in consegna per il mese di febbraio: dovevano essere 488 mila, saranno 248 mila. A lui, con ogni probabilità, resterà anche la distribuzione. E anche questa sarà una grana, specie se le regioni andranno avanti con gli acquisti in proprio e lui dovrà mantenere la promessa di scalare quelle dosi dalle forniture nazionali. Sul coordinamento delle fasi successive, invece, entrerà in campo la Protezione civile. Ma su questo Arcuri minimizza. Ripete che quella parte di processo spetterà comunque alle regioni, ai medici, alle asl. E che la struttura commissariale in ogni caso non avrebbe avuto competenza. Sulle primule, i tendoni disegnati dall’architetto Stefano Boeri, non fa resistenza più di tanto. Dovevano essere un simbolo di rinascita ma l’approccio è laico. Se ne può fare anche a meno.
Primule
Il commissario non si impunta: delle strutture
disegnate da Boeri
se ne farà a meno
Un cambio in corsa per le fasi di approvvigionamento e distribuzione, pure preso in considerazione, alla fine è stato scartato. E questo perché ci sarebbe stato un inevitabile assestamento nel passaggio delle consegne che avrebbe finito per rallentare la campagna invece di accelerarla. Stessa analisi costi/benefici su un eventuale cambio in corsa per la figura del commissario.
Alla fine è la prevalenza della stabilità. Il governo cambia, la maggioranza si allarga. E proprio per questo un minimo di continuità ci vuole. Arcuri, che naturalmente si è messo a disposizione del nuovo governo, lo sa bene. Quelli che lui chiama equilibri dinamici nel sistema sono sempre stati la sua specialità. In Invitalia — l’agenzia per lo sviluppo delle imprese, controllata dal ministero dell’Economia — è arrivato come amministratore delegato nel 2007. Da allora ha attraversato nove governi, con maggioranze molto diverse fra loro: dal secondo Prodi al quarto di Berlusconi, da Monti a Renzi, passando per Letta e Gentiloni, poi il Conte gialloverde e quello giallorosa. Draghi è l’ultimo della lista. Per ora.