Dal 30 giugno commercianti, artigiani, liberi professionisti, chiunque offra beni e servizi è costretto — per decreto — a fornirsi di Pos, ovvero di quel dispositivo elettronico che permette al cliente di pagare con bancomat, carta di credito o prepagata. Però se non assolve all’obbligo non succede niente: il decreto non prevede sanzione. Fatta la legge, per non rispettarla, questa volta non serve nemmeno trovare l’inganno.
Dalla fine del mese in base ad un decreto interministeriale del 24 gennaio scorso, chi vende prodotti o prestazioni di servizi, é tenuto ad accettare pagamenti con «card» per importi superiori ai 30 euro. Il cliente che non vuole pagare in moneta sonante deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare. L’obiettivo della norma è nobile: dissuadere dall’utilizzo del contante (secondo gli ultimi dati della Banca d’Italia i pagamenti pro capite via card sono 74 l’anno contro i 194 della media Eurozona) e rendere la vita più difficile a chi vuole evadere. Ma l’arma che dovrebbe difendere l’intento è spuntata: al cliente viene riconosciuto un diritto che non potrà esercitare. La norma, in realtà, viene da lontano e non è detto che da qui alla fine del mese il governo non intenda porre correttivi alla mancata sanzione. Era inserita nel decreto “crescita” del 2012, che ne prevedeva la decorrenza dal primo gennaio di quest’anno, successivamente spostata alla fine di giugno. Associazioni e ordini professionali — appellandosi al fatto che dotarsi di un Pos costa caro — nelle scorse settimane si sono attivate per ottenere un ulteriore rinvio o per strappare un’esenzione (inizialmente prevista — in via transitoria — per fatturati inferiori ai 200 mila euro), ma il fatto che nulla succeda se l’obbligo non viene rispettato ha sopito le proteste. «La sanzione non c’è — conferma il sottosegretario all’Economia Enrico Zanetti — la norma avvia un percorso riconoscendo un diritto al consumatore, ma non possiamo scaricare interamente il costo di questo diritto sulle piccole imprese. Il ministero dello Sviluppo economico avvierà un tavolo con le associazioni bancarie per individuare convenzioni che minimizzino l’onere, e in seguito a ciò si potrà integrare il testo specificando la sanzione». Di fatto l’impegno a individuare convenzioni è contenuto in un decreto dello Sviluppo economico (51 del 14 febbraio scorso che entrerebbe però in vigore a fine luglio, un mese dopo l’introduzione «obbligatoria » del Pos). E per quanto riguarda le sanzioni — rispondendo ad un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Marco Causi (Pd) — è stato fatto riferimento a quelle previste dalla normativa anti riciclaggio. Al momento però niente potrà succedere a chi non si doterà di Pos. Per chi volesse farlo — calcola il Centro studi della Cgia di Mestre — il costo netto (consi- derato un fatturato medio di 100 mila euro) varierà, a seconda della tipologia del Pos e considerati canoni e commissioni, dai 1.183 ai 1.240 euro annui. Facile prevedere il flop di adesioni. «Non è accettabile che le imprese debbano farsi carico di ulteriori costi burocratici» commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia Meste. «Ma la cosa più grave — precisa Ernesto Ghidinelli, responsabile credito per la Confcommercio — è la mancanza di norme chiare: il governo ci dica cosa dobbiamo fare. Non siamo contrari al pagamento elettronico, anche per noi rappresenta una formula più sicura, ma non vogliamo che gli alti costi si scarichino su chi è già soffocato dalla crisi». Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti, suggerisce di abbandonare l’approccio coercitivo: «Prevediamo un punto in meno di Iva a carico del consumatore che paga via card e diamo la possibilità all’esercente di ottenere sgravi in credito d’imposta: il Pos decollerà. In Corea del Sud e Argentina hanno fatto così, ha funzionato».
Repubblica – 17 giugno 2014