Moncalvo: «Nel nuovo governo Renzi e nell’azione del ministro Martina vediamo i segnali di un cambio di rotta ma bisogna fare di più. Il Parlamento è troppo lento ad approvare le leggi mentre i mercati non aspettano»
Il Parlamento italiano impiega 294 giorni per approvare un disegno di legge. Nel corso dell’ultima legislatura infatti hanno tagliato il traguardo solo 767 provvedimenti sui 8.277 progetti presentati. Non va meglio in Europa dove per approvare un regolamento occorrono 264 giorni aggiungendo così nuova lentezza e rendendo le imprese «ostaggio della burocrazia». «Tutto questo non ce lo possiamo permettere. Perché l’agricoltura italiana di fronte a una realtà in rapida evoluzione non può fare a meno di decisioni rapide». Suona come una dura condanna alle istituzioni “lumaca” il discorso del presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo che ha aperto ieri a Roma l’Assemblea dell’organizzazione agricola (che ha nominato vicepresidenti Ettore Prandini, Gennaro Masiello e Mauro Tonello). «Nel nuovo governo Renzi – ha aggiunto Moncalvo – e nell’azione del ministro per le Politiche agricole, Maurizio Martina, vediamo i segnali di un’inversione di tendenza ma occorre fare di più».
Gli ultimi mesi, secondo Coldiretti, hanno comunque portato novità significative. Tra queste per l’organizzazione agricole ai primi posti c’è l’incremento della percentuale di succo di frutta nelle bevande (che attende ora il vaglio del Senato), l’introduzione dell’obbligo nella ristorazione di utilizzare il tappo “antirabocco” per l’olio d’oliva o ancora la recente distruzione dei campi Ogm coltivati illegalmente in Friuli Venezia Giulia. «Tutti provvedimenti che vanno a favore di un’agricoltura distintiva come quella che noi vogliamo difendere» ha detto Moncalvo.
Tra i risultati positivi alla Coldiretti ricordano anche il recente accordo sugli aiuti accoppiati Pac. Intesa che ha portato importanti novità rispetto alle ipotesi iniziali. «Innanzitutto – aggiunge il presidente di Coldiretti – avevamo chiesto di fissare a un livello intermedio la soglia della trattenuta effettuata sul budget complessivo degli aiuti alla produzione per recuperare risorse da redistribuire a favore di settori considerati strategici. Ritenevamo infatti importante non adottare il livello più elevato ma mantenere un margine di manovra per il futuro. E il compromesso finale si è fermato all’11% contro la possibilità di arrivare al 15%. Ma i risultati di rilievo sono stati ottenuti anche sul fronte della lotta alle rendite».
L’accordo siglato infatti oltre a definire una black list di soggetti che saranno esclusi dai beneficiari introduce anche un “capping”: cioè un tetto massimo per gli aiuti che non potranno superare i 500mila euro con prelievi a partire da 150mila euro di premi annui. «Per noi sono due risultati fondamentali – aggiunge Moncalvo – perché consentono di combattere situazioni di vera e propria rendita spesso a favore di istituti di credito o assicurazioni, soggetti che nulla hanno a che fare con l’agricoltura. Abbiamo calcolato infatti che in passato l’1% dei beneficiari incassava il 20% del budget Ue. D’ora in avanti non sarà più così».
L’accordo sugli aiuti accoppiati Pac tuttavia, pur rappresentando un buon punto d’arrivo ha messo in luce il ruolo ancora molto forte in agricoltura delle regioni che troppo spesso rappresentano il terzo livello burocratico (dopo Bruxelles e Roma) che rischia di depotenziare gli effetti dei provvedimenti. «Restiamo convinti che quello sulla Pac sia il miglior compromesso possibile – dice ancora Moncalvo –. Ma siamo anche consapevoli che ora nella definizione dei nuovi piani di sviluppo rurale allo studio delle singole regioni, e per i quali è stanziata una fiche finanziaria di quasi 19 miliardi di euro da qui al 2020, sia necessario un profondo cambio di passo».
Il Sole 24 Ore – 10 luglio 2014