I giudici amministrativi del Veneto salvano, almeno per ora, il piano anti-Covid della Regione. E probabilmente è la prima volta che i magistrati si esprimono su un provvedimento dell’amministrazione Zaia che riguarda gli interventi sanitari decisi per arginare la pandemia. Va detto che nei giorni scorsi il Tar del Lazio era stato chiamato a esprimersi su un ricorso che ha diversi punti in comune con quello presentato sempre dallo Smi in Veneto, perché riguarda la stessa questione: chi ha titolo e chi no per visitare i pazienti a casa. In quel caso, i magistrati capitolini hanno stabilito che i medici di famiglia non possono fare assistenza domiciliare ai malati di coronavirus perchè questo «dovrebbe spettare unicamente alle Usca» altrimenti verrebbero «pericolosamente distratti dal compito di prestare l’assistenza ordinaria dei malati non Covid».
Tar Lazio: “I medici di famiglia non devono visitare i pazienti Covid a domicilio, spetta solo alle Usca”. La Regione annuncia ricorso
Accolto un ricorso del sindacato Smi che aveva evidenziato come la Regione avesse attribuito ai medici di famiglia la funzione di visitare i pazienti affetti da Covid a domicilio. Per il Tribunale amministrativo il compito dev’essere esclusivamente affidato alle Usca. La replica: “Non si tiene conto dell’evoluzione del ruolo dei medici di famiglia nel contrasto alla pandemia. Faremo ricorso al Consiglio di Stato”. LA SENTENZA
“Nel prevedere che le Regioni “istituiscono” una unità speciale “ (Usca) per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da COVID-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero”, la citata disposizione rende illegittima l’attribuzione di tale compito ai MMG, che invece dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza domiciliare ordinaria (non Covid)”. È quanto scrive in una sentenza pubblicata oggi il Tar del Lazio che ha accolto un ricorso presentato dal sindacato Smi che sosteneva come la Regione Lazio con una serie di provvedimenti ha investito i Medici di Medicina Generale di una funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid del tutto impropria, che per legge (art. 8 D.L. n. 14/2020 ed art. 4-bis D.L. n. 18/2020) dovrebbe spettare unicamente alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale, istituite dal legislatore nazionale d’urgenza proprio ed esattamente a questo scopo”.
Una sentenza che certamente farà discutere anche pensando al recente accordo sui tamponi rapidi in capo proprio a medici di famiglia che potrebbero farli anche a domicilio.
Intanto la Regione Lazio annuncia ricorso. “Proporremo ricorso urgente al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio che è in contraddizione con le funzioni che il nuovo ACN assegna ai medici di medicina generale (MMG), tant’è che di recente è stato siglato l’accordo nazionale, non dalla sigla che ha proposto il ricorso, che permettere loro di eseguire i tamponi rapidi, dove necessario anche a domicilio. La sentenza del Tar, che rispettiamo, non tiene conto di un quadro di forte evoluzione del ruolo dei medici di medicina generale nel contrasto alla pandemia ed arriva dopo 8 mesi dalle modalità organizzative messe in atto che finora hanno consentito di essere nella cosiddetta zona ‘gialla’”. Comunica l’Unità di Crisi COVID-19 della Regione Lazio.
“Nel Lazio – precisa la nota – vi sono oltre 60 mila persone in isolamento domiciliare ed è tecnicamente impossibile gestirle unicamente con le USCA-R. E’ innanzitutto compito della medicina territoriale farsi carico, con i dovuti mezzi di protezione e la dovuta formazione, di questi pazienti che molte volte non sono affetti unicamente da COVID, ma anche da altre patologie croniche. Pertanto l’assunto del Tar per cui gli MMG dovrebbero occuparsi soltanto dell’assistenza ordinaria domiciliare (non COVID) è tecnicamente impossibile in una visione olistica del paziente, vorrebbe dire che un anziano iperteso diabetico e con il COVID può avere un’assistenza domiciliare dell’MMG solo per le patologie croniche anziché per l’intero quadro clinico. Proprio in questi giorni, attraverso il Commissario nazionale per l’emergenza, si stanno distribuendo a tutti i medici i kit per i tamponi rapidi antigenici, da fare nei loro studi, o presso locali messi a disposizione dalle Asl e dei Comuni e lì dove necessario anche a domicilio ed è per questo che la Regione Lazio ha disciplinato su base volontaria e nell’ambito delle prerogative attribuite dalla legge questa modalità. Ora c’è un rischio di un danno grave e irreparabile alla rete dell’assistenza territoriale nel contrasto alla pandemia”.
Il Tar del Veneto non accoglie la richiesta di sospensiva
Il Tar del Veneto, con un’ordinanza appena pubblicata, ha respinto la richiesta di sospendere l’efficacia della delibera di giunta del luglio scorso – voluta dall’assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin – che fissava le misure «in materia sanitaria connesse all’emergenza epidemiologica da Covid 19» considerate indispensabili a mettere in atto quanto era stato previsto dal Decreto Rilancio approvato dal governo a maggio.
A chiedere l’annullamento della libera era stata la segreteria regionale del Sindacato Medici Italiani (Smi) convinta che il provvedimento sia illegittimo perché va a mescolare le competenze dei medici di famiglia con quelle delle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale. Si tratta di piccoli gruppi (ciascuna unità è composta da un dottore e un infermiere) che hanno il compito di valutare, su segnalazione del medico di famiglia o del pediatra, i pazienti positivi al Covid che non sono ricoverati. Un servizio di assistenza a domicilio fondamentale, per ridurre la pressione sugli ospedali.
La delibera della giunta tocca una serie di punti, andando anche a regolamentare la cosiddetta «fase 2», quella successiva al picco dell’emergenza. E qui, la Regione fissa l’obiettivo di un «incremento delle azioni terapeutiche e assistenziali a livello domiciliare» sia per i positivi al Covid che «per i soggetti cronici, disabili, con disturbi mentali, con dipendenze patologiche…». Anche con «l’introduzione dell’infermiere di famiglia o di comunità». Per il sindacato è una delibera che rischia di creare un’invasione di campo da parte delle Usca. «Le Unità speciali – spiega al segretaria regionale dello Smi, Liliana Lora – sono composte da personale assunto con il compito di assistere i malati di Covid a domicilio. Utilizzarle per visitare i malati cronici non contagiati dal virus, è un errore: spetta esclusivamente ai medici di famiglia, che spesso seguono quei pazienti da decenni e conoscono ogni aspetto della patologia e della loro storia clinica». Stesso ragionamento per l’introduzione dell’«infermiere di famiglia».
Ma il Tar del Veneto per ora lascia tutto com’é, e «salva» la decisione della giunta. I magistrati amministrativi, pur ammettendo che «le questioni dedotte richiedano approfondimento» rimanda tutto a quando entrerà nel merito della causa. Ma intanto rigetta la richiesta di sospendere l’efficacia del provvedimento «ritenuto che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, sia da considerare prevalente l’interesse pubblico al proseguimento delle attività, come previste dalla delibera regionale impugnata, da parte delle Usca e degli infermieri di famiglia sia a favore dei pazienti Covid non ospedalizzati che dei pazienti fragili, cronici e affetti da patologie invalidanti, che costituiscono la parte più vulnerabile della popolazione». La segretaria Smi la mette in questi termini: «Ovviamente non abbiamo mai voluto che i giudici bloccassero l’assistenza ai malati, ma entrando nel merito della questione speriamo emergano gli aspetti sbagliati di questa ordinanza».
Nei giorni scorsi il Tar del Lazio era stato chiamato a esprimersi su un ricorso che ha diversi punti in comune con quello presentato dallo Smi in Veneto, perché riguarda la stessa questione: chi ha titolo e chi no per visitare i pazienti a casa. In quel caso, i magistrati capitolini hanno stabilito che i medici di famiglia non possono fare assistenza domiciliare ai malati di coronavirus perchè questo «dovrebbe spettare unicamente alle Usca» altrimenti verrebbero «pericolosamente distratti dal compito di prestare l’assistenza ordinaria dei malati non Covid».