Poche competenze, chiare e precise, da mettere sul piatto delle trattative e, soprattutto, un’intesa veloce, «da sottoscrivere prima delle elezioni» e lasciare in eredità al prossimo governo. «É l’obiettivo a cui puntiamo — dice il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa —, inoltre, è difficile che il governo che avremo dopo smentisca un’intesa tra Stato e Regioni».
Ieri, a Roma, Emilia Romagna, Lombardia e governo hanno trovato subito la quadratura del cerchio. Alle 16, si è riunito il primo tavolo sull’autonomia dopo il voto al referendum veneto-lombardo del 22 ottobre e in nemmeno due ore di confronto Stefano Bonaccini (presidente dell’Emilia Romagna), Roberto Maroni (della Lombardia), Bressa, il suo staff e il team di docenti universitari guidati dall’ex sindaco veneziano Paolo Costa hanno tracciato una «road map» per arrivare, nel minor tempo possibile, a definire le competenze e i fondi necessari da trasferire dallo Stato a Milano e Bologna.
«É stato un incontro positivo, procedurale — spiega Bressa —, abbiamo concordato che Emilia Romagna e Lombardia ci daranno un’indicazione sulle competenze che ritengono fondamentali e abbiamo convenuto di concentrarci su tre, quattro, massimo cinque argomenti per avviare in via sperimentale un lavoro che non ha precedenti in Italia».
Le due Regioni saranno cioè le capofila dell’autonomia, non il Veneto, a meno che non voglia inserirsi in questo filone di trattative e rinunciare, come ha deciso di fare Maroni, a tutte le 23 competenze previste in seno dall’articolo 116 della Costituzione. «Aprire il confronto su ventitré materie vuol dire che non si lavora su nulla — continua il sottosegretario —, io sono disponibile a ricevere tutti, chiunque voglia trattare». Il messaggio è rivolto direttamente al presidente veneto Luca Zaia che, a differenza di Maroni e Bonaccini che a Roma hanno consegnato una mozione sull’autonomia, ha scelto di portare al governo una legge regionale, approvata da giunta e consiglio.
«La strada della legge è atipica — dice Bressa —, non è necessaria, c’è invece bisogno di un’intesa che poi si tramuta in legge dello Stato, con una legge regionale ci sono dei limiti: rischia di essere un azzardo politico».
Apriti cielo, sentite le parole del sottosegretario, il vicepresidente del Veneto Roberto Ciambetti sussulta e, a distanza, risponde: «Stiamo rispettando le norme pedissequamente, abbiamo tantissimo rispetto di Bressa e faremo tutte le trattative ma noi stiamo applicando la legge 15 del 2015 (emanata da Palazzo Balbi, ndr) e che dice che dopo il referendum avremmo appunto prodotto una proposta di legge — precisa —. Inoltre, l’articolo 121 della Costituzione permette alle Regioni di proporre allo Stato decreti legge: noi lo stiamo facendo».
Questione di punti vista, almeno per Bressa, che vede nell’atteggiamento veneto troppa rigidità, foriera di «scontro politico», in sede di confronto romano. Il Veneto, nel suo progetto d’autonomia, il cui voto in consiglio regionale sarà la prossima settimana, ha inserito tutte le 23 competenze. E si arricchirà dei suggerimenti dei consiglieri, in questi giorni le commissioni consiliari stanno studiando il documento e aggiungendo altra carne al fuoco.
Ieri, ad esempio, la seconda commissione di Palazzo Ferro Fini ha suggerito di chiedere più poteri regionali in un settore delicato com’è quello dell’urbanistica.
«La nostra legge è precisa, entra nel merito delle questioni – conclude Ciambetti -, le mozioni di Emilia Romagna e Lombardia sono più leggere rispetto al lavoro che stiamo facendo». La «road map» stabilita ieri prevede come primo punto l’individuazione di alcune competenze e lo dovranno fare Bonaccini e Maroni a stretto giro: il 17 novembre Bressa e il suo staff saranno a Bologna e il 21 a Milano, poi il confronto tornerà nella capitale.
«I presidenti presenteranno i loro desiderata — spiega Costa —, quindi si vedrà quanto costano le competenze richieste, la cifra non deve superare l’attuale spesa statale».
Si tratta, per Bressa, di un confronto epocale, «ci avventuriamo su un terreno nuovo – conclude – Emilia Romagna e Lombardia oggi si fanno carico di una grande assunzione di responsabilità, quella di dimostrare di essere capaci di gestire meglio dello Stato le funzioni per le quali tratterranno le risorse, con maggiore competenza e capacità amministrativa».
Il Corriere del Veneto – 10 novembre 2017