Un testo snello, di tre soli articoli dipanati in quattro pagine. E però importantissimo perché se mai venisse approvato dal parlamento, segnerebbe l’inizio del processo autonomista «e questa volta sul serio, in maniera irreversibile» sottolinea uno dei tecnici al lavoro sul dossier. L’immagine che usano in Regione e al ministero degli Affari regionali è quella del treno che, una volta partito, non potrà più fermarsi se non al capolinea, ossia la firma dell’intesa. E in effetti, nel documento che il Corriere del Veneto ha potuto consultare sono stati messi nero su bianco obiettivi e previsioni, ma anche procedure e tempi di realizzazione, tali da «costringere all’azione» i ministeri, ed in particolare il ministero dell’Economia, che fin qui, se non si può dire che si siano messi di traverso, quanto meno hanno tergiversato.
Il disegno di legge quadro che il ministro Francesco Boccia promette di portare all’attenzione delle Camere già all’inizio di ottobre, una volta chiusa la finestra elettorale, prevede che al fine di assicurare la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica, l’attribuzione alle Regioni di «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» avvenga nel rispetto dei Livelli essenziali delle prestazioni (i Lep), sicché le singole materie potranno essere trasferite alle Regioni solo una volta che i relativi Lep saranno stati definiti (si parte da quelle indicate dalla legge 42 del 2009 ossia Sanità, Sociale, Istruzione e Trasporto pubblico locale). Sono fatti salvi i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza ma va garantito il principio solidaristico (così da scongiurare la paventata «secessione dei ricchi») e comunque devono essere coinvolti Comuni, Province e Città metropolitane.
Importante la parte dedicata al finanziamento delle funzioni perché nella legge messa a punto da via della Stamperia si dice chiaramente che ciò avverrà in termini di «compartecipazione al gettito erariale maturato nel territorio regionale» (ossia trattenendo qui una parte delle tasse), con l’obiettivo del graduale superamento, per tutti i livelli istituzionali, del criterio della spesa storica a favore del fabbisogno standard. Lo Stato ha però preteso una sorta di «clausola di salvaguardia» che gli consenta, in base all’andamento del ciclo economico e dei conti pubblici, di imporre misure temporanee a carico della Regione a garanzia dell’equità nel concorso al risanamento delle finanze pubbliche. Se le cose vanno male, insomma, si potrà intervenire in corsa.
Capitolo tempi. Dopo un primo confronto con il parlamento su una bozza (10 giorni per le osservazioni da parte delle Camere, 60 giorni per il loro eventuale accoglimento) l’intesa tra la Regione e lo Stato nella sua versione definitiva è approvata in Consiglio dei ministri e, in seguito, firmata dal premier e dal presidente della Regione. Nei 15 giorni successivi alla firma è depositato in parlamento il disegno di legge di approvazione dell’intesa. Se ne deduce che Camera e Senato potranno sì intervenire sui contenuti della devoluzione ma solo nella prima fase, quella della bozza, e con tempi contingentati (dopo 60 giorni si procede con una sorta di silenzio assenso, evidentemente si vuole evitare l’insabbiamento tra Montecitorio e Palazzo Madama), mentre una volta che il testo sarà definitivo il parlamento potrà solo dire sì o no. Dopo di che, le funzioni relative alle competenze legislative saranno trasferite appena entra in vigore la legge; quelle relative alle competenze amministrative, invece, solo quando entrerà in vigore il trasferimento delle risorse (anche qui è stata accolta una richiesta delle Regioni, ossia nessun compito in più senza i soldi necessari a svolgerlo). Le norme statali continueranno ad essere applicate fino a quando non entreranno in vigore le norme regionali. L’intesa tra Stato e Regione andrà sottoposta a verifica almeno entro dieci anni e comunque ogni qualvolta saranno modificati i Lep.
Infine, la perequazione infrastrutturale, pretesa dalle Regioni del Sud: entro il 30 giugno 2021 dovrà essere fatta una ricognizione tramite Dpcm delle dotazioni infrastrutturali sanitarie, assistenziali, scolastiche e della rete stradale, autostradale, ferroviaria, portuale, aeroportuale, idrica, elettrica e digitale. Seguirà, entro sei mesi, la fissazione di «standard minimi di riferimento» miranti a ridurre il deficit delle Regioni più arretrate: questi costituiranno il benchmark per la percentuale (non fissata nel testo che abbiamo visionato) della voce «infrastrutture» che ad ogni legge di Bilancio dovrà essere appositamente destinata alla perequazione.
«Ci fa piacere che il ministro Boccia, porti avanti le istanze dell’autonomia che sono sul tavolo ormai da tre anni e spero ne venga fuori un buon lavoro – commenta il governatore Luca Zaia -. Noi i compiti per casa li abbiamo fatti. Questo governo è in carica da più di un anno e ha tutti gli elementi per decidere e chiamarci alla firma».
Corriere Veneto