«Le tensioni con la Lega sono forti. Prendiamo la riforma delle autonomie. Non va bene». Il comandante Gregorio De Falco l’ha detto al Corriere della Sera lunedì. Era la vigilia di Natale e qualcuno, nella Lega e tra i Cinque Stelle, forse si sarà guastato le feste. Tra i pentastellati, soprattutto: non fanno in tempo a garantire, ormai pure con qualche sbuffo, che sì, l’autonomia si farà, non ci sono problemi, che subito spunta uno dei loro a dire che invece no, si deve bloccare tutto. Perché? «Perché dobbiamo sempre ricordare che l’Italia è una – ha spiegato De Falco -. Se prevalgono gli egoismi sulla solidarietà, siamo di fronte a spinte centrifughe, non coerenti con il dettato costituzionale. Si vogliono i propri insegnanti regionali e persino i propri rappresentati diplomatici alla Ue. Sono segnali pericolosissimi di disgregazione. Il Movimento si deve opporre con fermezza».
Ora, è vero che dopo le critiche al decreto Sicurezza («Renderà invisibili migliaia di persone») e alla manovra («Il parlamento è stato scavalcato») De Falco è oramai più fuori che dentro il Movimento, già formalmente richiamato una volta dai probiviri (uno dei tre è il consigliere regionale veneto Jacopo Berti) e più volte minacciato di ulteriori provvedimenti non esclusa l’espulsione, però è altrettanto vero che il comandante diventato un eroe dopo il naufragio della Costa Concordia da tempo ha deciso di dare corpo e voce alle lamentele di quanti, in parlamento e fuori dal parlamento, dissentono dalla linea imposta dal capo Luigi Di Maio. «Io non mi muovo dal Movimento – ha difatti avvertito subito De Falco -. La mia bussola è il nostro programma. E la Costituzione. Non abbiamo fatto la nostra più grande battaglia in difesa della Costituzione? Non servono tifosi, ma voci critiche. Non possiamo rinunciare ai nostri principi. Le coscienze si devono risvegliare».
E se De Falco fosse solo l’avanguardia? Quanti come lui, eletto in Toscana (risiede da tempo a Livorno) ma originario di Napoli, nel Movimento Cinque Stelle condividono i timori sulla «secessione dei ricchi» che da mesi è argomento di dibattito al Sud? Abbiamo fatto due conti: tolti gli eletti all’estero e in Sardegna, regione che per storia e cultura è attraversata da forti aneliti autonomisti e indipendentisti e dunque ben potrebbe spalleggiare la battaglia del Veneto, sono 162 (su 220) i deputati M5S eletti al di sotto di Bologna e 82 (su 109) i senatori. Una pattuglia nutritissima, che unita agli altri parlamentari del Centro-Sud presenti all’opposizione (che coglierebbero di certo l’occasione per tirare una spallata al Governo) ben potrebbe affossare l’autonomia quando questa approderà a Montecitorio e a Palazzo Madama dopo aver faticosamente superato lo scoglio del Consiglio dei ministri (il premier Giuseppe Conte promette che firmerà l’intesa con il presidente Luca Zaia il 15 febbraio). Va sempre ricordato che, come previsto dall’articolo 116 della Costituzione, la legge scritta sulla base dell’intesa fra lo Stato e la Regione dev’essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere, il che significa 316 deputati e 161 senatori (vanno infatti contati anche i senatori a vita).
Corveneto