L’indicazione ad andare avanti sul dossier dell’Autonomia differenziata per le Regioni del Nord è arrivata direttamente dal leader M5S Di Maio nelle riunioni politiche degli ultimi giorni. Ma il lavoro tecnico sui dossier deve compiere i passi decisivi in questa settimana.
Oggi è stato il turno del ministero delle Infrastrutture, che nel primo round aveva opposto un no secco a quasi tutte le opzioni di trasferimento delle competenze (si veda Il Sole 24 Ore del 22 dicembre) mentre ieri è stato più aperturista. E oggi toccherà ai ministeri di Ambiente, e di Sviluppo economico e Lavoro, cioè proprio quelli del leader M5S.
Il termine indicato a dicembre da Salvini per chiudere il lavoro tecnico sui dossier è scaduto ieri senza che si arrivasse al traguardo. Ma la data chiave è quella del 15 febbraio, quando il testo della proposta da sottoporre a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna è attesa in consiglio dei ministri per il via libera alla firma dell’intesa. Ma la strada è ancora complicata, perché anche gli apparati dei ministeri a guida leghista hanno dovuto smussare le ambizioni un po’ troppo alate portate avanti soprattutto da Lombardia e Veneto. Anche nelle stanze del Viminale del leader leghista Salvini, in particolare, le richieste delle due Regioni del Carroccio hanno dovuto faticare e abbandonare le ipotesi di regionalizzazione spinta di settori come i Vigili del Fuoco o la Protezione civile. Ma anche sulla scuola, che rappresenta di gran lunga la funzione più costosa fra quelle da trasferire, si discute ancora su confini e modalità delle competenze e del personale da assegnare alle Regioni.
Sul terreno politico il tema continua ad agitare. Sia a Nord, dove per esempio ieri il governatore lombardo Attilio Fontana (Lega) ha annunciato a Radio24 la mozione votata nel pomeriggio dal Pirellone per accelerare ed è arrivato ad «auspicare» la caduta del governo se la scadenza del 15 febbraio dovesse arrivare invano. Sia a Sud, dove ieri il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, dall’assemblea di Unindustria Calabria, è tornato a invocare «clausole di supremazia» per lo Stato su temi come «infrastrutture ed energia» (in linea con la riforma del Titolo V sostenuta da tempo dagli industriali) e a sostenere l’opportunità di «un confronto con tutte le Regioni».
Che cosa succederà ora? La chiusura dei testi prevista per il 15 febbraio è solo il primo passo, perché poi l’intesa che Conte deve concordare con i governatori deve tradursi in una legge da approvare a Camera e Senato a maggioranza assoluta dei componenti, e in una serie di decreti attuativi. Ma i giorni decisivi sono questi.
IL SOLE 24 ORE
Gianni Trovati
Il termine indicato a dicembre da Salvini per chiudere il lavoro tecnico sui dossier è scaduto ieri senza che si arrivasse al traguardo. Ma la data chiave è quella del 15 febbraio, quando il testo della proposta da sottoporre a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna è attesa in consiglio dei ministri per il via libera alla firma dell’intesa. Ma la strada è ancora complicata, perché anche gli apparati dei ministeri a guida leghista hanno dovuto smussare le ambizioni un po’ troppo alate portate avanti soprattutto da Lombardia e Veneto. Anche nelle stanze del Viminale del leader leghista Salvini, in particolare, le richieste delle due Regioni del Carroccio hanno dovuto faticare e abbandonare le ipotesi di regionalizzazione spinta di settori come i Vigili del Fuoco o la Protezione civile. Ma anche sulla scuola, che rappresenta di gran lunga la funzione più costosa fra quelle da trasferire, si discute ancora su confini e modalità delle competenze e del personale da assegnare alle Regioni.
Sul terreno politico il tema continua ad agitare. Sia a Nord, dove per esempio ieri il governatore lombardo Attilio Fontana (Lega) ha annunciato a Radio24 la mozione votata nel pomeriggio dal Pirellone per accelerare ed è arrivato ad «auspicare» la caduta del governo se la scadenza del 15 febbraio dovesse arrivare invano. Sia a Sud, dove ieri il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, dall’assemblea di Unindustria Calabria, è tornato a invocare «clausole di supremazia» per lo Stato su temi come «infrastrutture ed energia» (in linea con la riforma del Titolo V sostenuta da tempo dagli industriali) e a sostenere l’opportunità di «un confronto con tutte le Regioni».
Che cosa succederà ora? La chiusura dei testi prevista per il 15 febbraio è solo il primo passo, perché poi l’intesa che Conte deve concordare con i governatori deve tradursi in una legge da approvare a Camera e Senato a maggioranza assoluta dei componenti, e in una serie di decreti attuativi. Ma i giorni decisivi sono questi.
IL SOLE 24 ORE
Gianni Trovati