E’ stato approvato il 3 aprile un nuovo regolamento che rende obbligatorio il test a 90 giorni per i ratti. La notizia è filtrata da Agrapress. I ratti di laboratorio dovranno essere alimentati per almeno 90 giorni con mangime contenente OGM, in fase di test. Passare tale test significherebbe garantire le basi per la sicurezza alimentare, e quindi, rispondere ad uno dei requisiti fondamentali per l’autorizzazione degli OGM.
Siccome EFSA recepisce gli orientamenti forniti da Direttive e Regolamenti europei, questi vengono poi tradotti in documenti interni come Linee Guida per la Valutazione del Rischio. Il nuovo Regolamento quindi subirà lo stesso destino. Le industrie avranno sei mesi per adeguarsi alla nuova norma, che entrerà vigore venti giorni dopo la sua pubblicazione nella gazzetta ufficiale dell’unione europea.
Ricordiamo che più in generale, le procedure di valutazione degli alimenti geneticamente modificati sono individuate dal regolamento (CE) n. 1829/2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e dalla direttiva 2001/18/CE sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati. Circa il 1829 ( che si occupa della valutazione circa la sicurezza alimentare e dei mangimi), si precisa solo che l’autorizzazione (in capo ad EFSA) dovrà essere “del più alto livello scientifico”, senza ulteriori dettagli.
Ma quale è allora il valore scientifico di tali studi a 90 giorni? E significa che EFSA fino ad oggi non li adottava, o non era comunque obbligata ad adottarli?
I “90 giorni”
In base a parere di EFSA, “a partire da studi condotti su un ampio arco di sostanze chimiche, si può concludere che uno studio a 90 giorni mostra una relativamente elevata capacità –in termini di endpoint misurabili- di spiegare potenziali effetti tossicologici. E’ improbabile che sostanze presenti in piccole quantità e con basso potenziale tossicologico diano luogo a effetti inattesi osservabili entro studi di alimentazione a 90 giorni sui roditori”. Tali studi a 90 giorni sono alla base dei protocolli dell’OCSE (lo standard scientifico in materia, “Protocol 408”) circa le buone prassi di laboratorio. In ogni caso, non mancano le critiche (già emerse nel caso del Bisfenolo A): tali prassi prevedono di “troncare” gli studi sugli animali in tempi troppo veloci, non permettendo di svelare aspetti tossicologicamente nuovi (cd “low dose response”, ovvero, effetti tossici anche a basse dosi, contraddicendo il “dogma” tossicologico prevalente, “la dose fa il veleno”).
Lo stesso Protocollo 408 poi è stato usato prima da parte della comunità scientifica per difendere le valutazioni standard del rischio di EFSA (“le buone prassi”); tuttavia nel giro di poco è stato “abbandonato” dai suoi stessi fautori, per criticare gli studi di Seralinì sul mais GM NK603, basati proprio sul 408 (i gruppi da 10 +10 di ratti, considerati troppo esigui? Non sono una invenzione di Seralinì, ma sono posti nel protocollo stesso, certo come condizione minima, ma pure valida).
Le critiche
In ogni caso, come si legge nello stesso Report di EFSA, i trial a 90 giorni non sono in grado di svelare effetti avversi sull’apparato riproduttivo e sullo sviluppo. E ricercatori come Eric Gilles Seralinì da tempo chiedono un periodo di almeno 2 anni, per far emergere effetti sub-cronici o danni al fegato e reni, nonché al sistema riproduttivo e più in genere allo sviluppo: “sulla scorta della letteratura, EFSA[1] ha ammesso –rispetto a test non su OGM- che per il 70% degli studi considerati, tutti i dati svelati da test a 2 anni erano già previsti da quelli a 3 mesi”. Insomma, rimane da spiegare un 30% degli effetti tossicologici: non poco.
Le richieste di Seralinì, datate al 2011? Rendere obbligatorio un periodo di test a 2 anni, in particolare per gli OGM che contengono pesticidi (il 99% degli attuali); adottare l’approccio Toxotest (valutando effetti a lungo termine tramandati da genitore a figlio); includere una valutazione degli ormoni sessuali, aspetti riproduttivi, di sviluppo e transgenerazionali.
La richiesta non è peregrina: già oggi in Europa i fitosanitari richiedono 2 anni di test, proprio in ragione dei motivi evidenziati da EFSA. E gli OGM oggi commercializzati, di fatto dovrebbero essere considerati come “fitosanitari” (“pesticide plants”): sia indirettamente (tollerando alte dosi di fitosanitari con gene di resistenza) sia direttamente (con pesticida prodotto dalla pianta, a seguito di ingegnerizzazione genetica
I test sugli OGM oggi in Europa
Ricordiamo che in Europa la approvazione sul mercato degli OGM richiede un parere del panel competente di EFSA, tramite i suoi 21 esperti scientifici indipendenti. In Europa non vi è presunzione di sicurezza per alcun OGM, che è unico e va valutato individualmente per garantire che non abbia rischi per la salute umana ed animale o per l’ambiente. Alla critica che “Efsa approvi indiscriminatamente “i dossier di autorizzazione degli OGM che riceve, la risposta dell’Authority è che ad oggi ben il 95% degli studi che le sono stati inoltrati è stato considerato insufficiente, con richiesta alle industrie di fornire ulteriori dati.
Il punto interessante è: come si comporta oggi EFSA, da parte sua? Che dati chiede in via preliminare, a fronte di quelli (palesemente insufficienti) forniti? “In conformità con il regolamento (CE) n. 1829/2003, l’EFSA ha pubblicato un dettagliato documento orientativo sul tipo di dati che i richiedenti l’autorizzazione sono tenuti a includere in qualsiasi richiesta di autorizzazione relativa agli OGM e sulle modalità di preparazione e presentazione di tali informazioni.” Il documento di particolare peso è il “Guidance for risk assessment of food and feed from genetically modified plants” entro cui si precisa che “Depending on the quality of the available data provided for the risk assessment, animal feeding trials with whole food and/or feed using laboratory animal species (rodents) and/or target animals may be considered, on a case-by-case basis (EFSA, 2008). Test protocols for animal feeding trials with food and feed derived from GM plants are described in the opinion of the EFSA Scientific Committee on 90-day feeding trial protocol (EFSA, 2011b).”
Si arriva così al nocciolo della questione. La valutazione degli OGM, essendo caso per caso, deve rimanere improntata ad una certa libertà, al punto tale che c’è chi accusa le industrie di inviare i dati che vogliono. Con EFSA costretta a rincorrere, chiedendo dati aggiuntivi (in ben il 95% dei casi).
Fino ad oggi insomma non c’era nessun protocollo obbligatorio che EFSA dovesse seguire per la valutazione degli OGM, ma una serie di “linee guida” e consigli. “L’industria e l’università che hanno studiato gli effetti sulla salute degli OGM sono state libere di progettare il disegno sperimentale della ricerca”, ha affermato Seralinì.
Di conseguenza, il gesto dell’esecutivo europeo è benvenuto, e fa chiarezza: anche se da un punto di vista strettamente scientifico sembra in ritardo rispetto alle nuove evidenze tossicologiche (effetti a basse dosi, effetti a lungo termine).
Sicurezza alimentare.it – 5 aprile 2013