La scoperta paradossale di un gruppo di ricercatori dell’università di Navarra (Spagna): i consumatori che avvertono una maggiore avversione verso novel food, dimostrerebbero processi cognitivi più complessi e astratti, e con un legame più forte a valori culturali e sociali.
Nei giorni scorsi avevamo dato risalto alla ricerca francese che mostrava come il nesso “junk food = gustoso” non fosse universale, bensì tipico della cultura americana: in Francia ad esempio, i consumatori sono più proni a identificare il cibo gustoso con gli alimenti della tradizione.
Ora un nuovo studio cerca di gettare luce proprio sui consumatori che preferendo questi alimenti tradizionali, rifiutano con maggiore frequenza i cibi “nuovi” (derivati ad esempio da innovazioni di prodotto, di processo, o da nuove e finora sconosciute tradizioni alimentari).
Tali consumatori, detti “neofobici”, sono -se non la maggior parte- certamente una buona fetta della popolazione, se è vero che ogni anno circa l’80% dei nuovi prodotti lanciati sul mercato non ha successo e viene ritirato dalle case alimentari.
E’ quindi cruciale per gli attori dell’agroalimentare capire cosa si oppone alla ricezione di alimenti nuovi.
In particolare, quel che già si sapeva, è che tre sono le ragioni principali di rifiuto di alimenti innovativi: l’avversione (legata ad aspetti culturali, religiosi), il senso di insicurezza alimentare; e infine il (dis)gusto. Per contro, avere informazioni che il nuovo alimento ha un buon sapore è di ausilio; come il sapere che l’alimento è “naturale”; e anche “familiare”. Si sa inoltre che la giovane età facilita l’accettazione, mentre l’appartenenza a popolazione rurale facilita il rifiuto.
La ricerca
Due sono gli alimenti testati su diversi gruppi di consumatori: due varietà di caffè (uno tradizoinale in miscela, l’altro in capsule “innovative”) e il couscous, cibo “nuovo” nel senso di appartenenza ad una tradizione alimentare “altra” rispetto alla spagnola.
Con appropriate tecniche di ricostruzione delle mappe mentali (Laddering e Means- End Chains), si è arrivati alle seguenti conclusioni:
· non vi sono differenze significative in termini di cultura educativa e classe sociale di appartenenza: sembra però che la neofobia sia leggermente più presente nella classe media rispetto a ceti sociali abbienti. E in coloro che hanno una educazione secondaria rispetto a quelli che hanno terminato il ciclo di educazione superiore.
· I “neofobici” e gli “aperti” cercano le stesse cose nel cibo, come soddisfazione d’uso –
· i “neofobici” fanno affidamento a schemi di scelta più complessi e articolati, con un ricorso ad un maggiore livello di astrazione e meditazione.
· I “neofobici” avrebbero un maggiore livello di identificazione culturale e sociale rispetto alla comunità di appartenenza, e la neofobia li aiuterebbe a mantenere questo forte senso di appartenenza e di “benessere sociale”.
Insomma, i neofobici non sono soltanto persone chiuse e riluttanti, ma al contrario, soggetti consapevoli e con un repertorio culturale che viene attivato nel momento delle scelte alimentari.
La ricerca, sebbene indirettamente, può fornire anche indicazioni su alcune scelte alimentari e avversioni (OGM, clonazione), che prendono piede nel nostro paese, e che non possono semplicemente essere motivate in base ad “ignoranza “ od oscurantismo, ma che per contro devono considerare appunto i complessi meccanismi di scelta e preferenza adottati dai consumatori.
In Italia la maggior parte della popolazione vive ancora in piccoli comuni, al di sotto dei 10.000 abitanti (elaborazione Symbola su dati Istat): mentre nello stesso tempo, il nostro patrimonio agro-alimentare mostra una eccezionale quantità di prodotti Dop, vini a denominazione e produzioni biologiche (521 vini, di cui 403 Dop e 118 Igp, e 239 altri prodotti riconosciuti alla fine del 2011)
Barrena, R., Sanchez, M. (2012) Neophobia, personal consumer values and novel food acceptance. Food Quality and Preference 27 (72-84)
sicurezzaalimentare.it – 7 febbraio 2013