Marta, 41 anni: «Non è follia, la mia fattoria funziona». Sono bastati cinque giorni in una fattoria in Toscana per capire come funziona. Certo, non è che la Toscana ci somigli molto, al Bellunese: tra filari di cipressi, amene colline dei vigneti, distese di uliveti e l’aspra natura dell’Alto Veneto c’è un certo divario iconografico, e non solo. Ma è una questione di metodo, e di passione.
Comunque sia, quei cinque giorni sono all’origine della mossa temeraria: mollare tutto, e ricominciare dalla natura selvaggia. Con nove capre come viatico e debutto nel mondo degli allevatori. A Cornigian di Forno di Zoldo, sopra i 1.200 metri, dove la veduta sulle montagne è spettacolare e dove d’inverno il freddo e la neve fanno capolino molto spesso. Ma tant’è! Travolti dalla passione, si riparte da zero. Anche se, come Marta Zampieri, si ha alle spalle una laurea a Padova in ingegneria civile idraulica, sei mesi di insegnamento di matematica e fisica alle scuole medie di Cessalto (Treviso) e poi un posto sicuro in uno studio di ingegneria prima e in una ditta dopo.
«Nella fattoria – concede la Zampieri – c’ho messo tutti i soldi che avevo guadagnato. Anni di risparmi. Perché le spese ci sono: c’è bisogno di fieno, e quindi di decespugliatori; e poi il trattore, le barre falcianti e tutto il resto». Ma ci si campa? «Dipende – continua -: si parte senza profitto, e in montagna la fase di start-up dura dai tre ai cinque anni. Ma ora ho un attivo: il segreto è la multifunzionalità». Sa di linguaggio confindustriale. «E’ la verità – spiega -: non bastano le 54 capre da cashmere; servono anche le 48 galline, le 20 pecore alpagote, le 10 pecore nane d’Ouessant (della più piccola tra le razze ovine, originaria della Bretagna, ndr), l’orto, i piccoli frutti (fragoline, lamponi, mirtilli e more) e le erbe aromatiche. Il cashmere lo faccio lavorare: ho un mio marchio e vendo il prodotto finito».
Un’impresa. «Ma nessuno – continua – lo fa per guadagnarci. Comunque, con l’agricoltura e l’allevamento c’è sempre da mangiare». Le capre da cashmere, «che non sono caprette qualsiasi», si sono ambientate bene. «Non avevo alcuna esperienza nel settore dell’allevamento – chiarisce -: perciò ho iniziato con un animale di dimensioni ridotte. Ma la capra si è dimostrata molto adatta al clima rigido delle montagne della Val di Zoldo e poco esigente per quanto riguarda l’alimentazione; e poi ha un’indole docile, e pertanto è molto semplice gestirla. Inoltre, queste bestiole mi aiutano nella pulizia dei prati, in un contesto in cui il bosco avanza». Marta ha 41 anni, è di Motta di Livenza), e la sua avventura in montagna è cominciata nel 2005: «Ho mescolato passione per le “terre alte” e amore per gli animali e mi sono inventata di allevare caprette». Ora vive a Fornesighe, suggestivo villaggio con tradizionali casette di legno e pietra e lavora a Cornigian, a quattro chilometri dal paesino, dove appunto c’è la fattoria «Kornigian». E’ sposata. «Dal 2008 – puntualizza -: mio marito è il mio fattore e ha anche un’impresa di costruzioni». Di figli non ne vuole sapere. «Mi conosco – concede -: mi dedicherei alla prole anima e corpo; ma ora ho troppe cose da realizzare». E comunque ha mollato una ditta di appalti pubblici. E la famiglia di origine? «I miei – termina – all’inizio pensavano di aver perso una figlia e che il mio fosse l’abbaglio del momento, e che non portasse a nulla; insomma, non l’hanno presa proprio bene. Ma ora sono i miei più importanti sostenitori».
Marco de’ Francesco – Corriere del Veneto – 16 dicembre 2012