È già allarme zecche. Il primo caso stagionale di Tbe è quello di un 65enne bellunese ricoverato da 15 giorni al reparto Malattie infettive del San Martino. L’uomo è entrato in ospedale dopo il morso del parassita ed è stato subito ricoverato per encefalite. II primario del reparto, Ermenegildo Francavilla, rassicura sulle condizioni del paziente, ormai fuori pericolo. Per il San Martino le diagnosi di encefalite non sono così rare. A livello nazionale più di due terzi dei casi di Tbe sono diagnosticati a Belluno.
E già allarme zecche. Il primo caso di Tbe della stagione è ricoverato da quindici giorni al reparto Malattie infettive del San Martino. Si tratta di un uomo, un bellunese sui sessantacinque anni, entrato in ospedale dopo il morso del parassita e subito ricoverato per encefalite. La stagione calda è appena agli inizi ma le zecche fanno già paura. «In questo momento il paziente sta facendo il per corso di riabilitazione rispondendo bene alle cure – si limita a rassicurare il primario del reparto, Ermenegildo Francavilla -, si può dire fuori pericolo. Non è strano ci siano già stati accessi in ospedale per i morsi di zecca, questi parassiti escono già con i primi caldi». Per il San Martino diagnosi di encefalite non sono un’evenienza poi così rara, basti pensare come a livello nazionale più di due terzi dei casi di Tbe sono stati diagnosticati a Belluno. Un primato che mette l’equipe del capoluogo ai primi posti in Italia in quanto a esperienza e cure della patologia e fa trovare i medici sempre preparati. Perché i sintomi, spesso, non sono indicativi e possono fuorviare. «Ci sono casi asintomatici – spiega Francavilla -, altri in cui il paziente lamenta fastidi simili all’influenza e altri ancora in cui i sintomi sono neurologici». Ad ogni modo, in tutta Europa la Tbe è in aumento meno che in Austria dove la campagna di vaccinazione ha fatto la sua parte. In provincia negli ultimi vent’anni, da quando nel 1994 fu accertato il primo caso, sono state 181 le persone a cui è stata diagnosticata l’encefalite. Lo scorso anno i casi sono stati solo cinque, merito del brutto tempo che ha ridotto le gite in montagna e le scampagnate, quindi le situazioni di contatto con il temibile parassita, mentre nel 2009 si è verificato un picco con 17 malati accertati. Certo è che fa paura a molti. Perché terapie non ne esistono e la battaglia si fa soprattutto sul piano della prevenzione sull’ambiente e sul comportamento delle persone.
Il Gazzettino di Belluno – 12 giugno 2015