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Benessere animale e ricerca sui virus tra i sette primati del Bo. Ma da Roma «soltanto briciole»

Così Padova ha scalato le vette degli atenei italiani. Dal ministero meno di 8 milioni. Dallo studio delle stelle, alla petrografia; dal benessere degli animali, alla ricerca sui virus. Ecco l’universo di ricerca (proprio com’è nel motto del Bo), che ha premiato Padova come migliore università d’Italia.

Un risultato importante, non solo perché frutto della prima, vera valutazione approfondita da parte del ministero, che attraverso l’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione della ricerca, ha passato al setaccio 133 tra università, enti e consorzi (nell’arco temporale 2004-2010); ma anche perché dal risultato di questa «pagella», dipenderà ora l’assegnazione di una fetta del finanziamento statale agli Atenei, la cosiddetta quota premiale riservata ai più meritevoli. Nel risultato comparativo della «Vqr» (la Valutazione della qualità della ricerca), che si è basata non solo sul valore delle pubblicazioni scientifiche (ciascun professore doveva presentarne minimo tre), ma anche sulla capacità di attrarre risorse esterne, sul numero di ricercatori in formazione e sul numero di brevetti e di spin off accreditati, il Bo è riuscito a conquistare la prima posizione assoluta in 7 aree scientifiche su 14. E cioé scienze fisiche, scienze della terra, scienze biologiche, scienze mediche, scienze agrarie e veterinarie, ingegneria industriale e dell’informazione e scienze economiche e statistiche (superando in questo caso anche la prestigiosa scuola economica della «Bocconi» di Milano).

Alla base di questo successo si possono individuare ragioni di carattere generale e altre, invece, di natura più specifica. Alle prime vanno ricondotte le scelte dell’ex rettore Vincenzo Milanesi, al vertice dell’ateneo in sei dei sette anni considerati dalla «Vqr», che hanno portato alla ricerca risorse di bilancio sempre maggiori: nel 2010 furono in totale 43,5 milioni, su un bilancio di circa 585 milioni, con un incremento del 16% rispetto all’anno precedente (scelte, per altro, confermate dall’attuale rettore Giuseppe Zaccaria). Ma va ricondotta anche una qualità media dei docenti e dei ricercatori dell’Ateneo, che non ha pari a livello nazionale: lo si evince dalla valutazione del Nucleo ai singoli dipartimenti, che, spesso, ha giudicato «eccellenti » la maggior parte dei «prodotti» presentati (il record spetta a Scienze biomediche, con l’86,54% dei prodotti licenziati con il massimo dei voti). Come detto, però, ci sono anche ragioni specifiche. Parliamo, per esempio, della capacità delle singole aree di produrre brevetti e spin off (quella che viene chiamata la «terza missione» dell’Università, cioè l’insieme di attività con cui l’Ateneo interagisce con la società: dalla creazione di imprese, alla ricerca per conto terzi). La sola Scuola di Medicina, tra il 2004 e il 2010, ha sfornato 25 brevetti, riguardanti farmaci e vaccini; mentre la scuola degli ingegneri industriali e dell’informazione ne ha rilasciati 15, concernenti macchine robotiche e applicazioni strumentali nel campo dell’ottica. Sempre ingegneria industriale e dell’informazione, inoltre, ha formato anche 13 spin off, cioè iniziative imprenditoriali nate dalle attività della ricerca primaria.

Ma non ci sono solo i brevetti a raccontare delle singole vette di eccellenza raggiunte dal Bo. In esse rientrano, per esempio, anche le attività di dipartimenti come quello di Fisica e Astronomia «Galielo Galilei», diventato ormai un vero punto di riferimento internazionale nel campo dello studio delle stelle e delle missioni spaziali (e con esso anche l’Inaf, l’Istituto nazionale di Astrofisica, che conta anche sull’apporto di ricercatori padovani); oppure quelle del dipartimento di Scienze della Terra, con le analisi delle frante e dei terremoti; e quelle dei dipartimenti di Veterinaria e Agraria, con gli studi innovativi nel settore della genetica e del benessere animale e della qualità degli alimenti. Quanto vale questo bagaglio di qualità? Padova, che ha «stravinto» la classifica, si aspetterebbe una quota premiale notevole; ma in realtà alla fine non sarà così. Anzi, avrà solo briciole. A spiegarlo è proprio il professor Vincenzo Milanesi, ex rettore ed oggi delegato al Bilancio: «Purtroppo parliamo di pochi milioni di euro, probabilmente 6 o 8 in tutto, perché lo Stato ha messo da parte per il merito “solo” 540 milioni a livello nazionale e il Bo avrà una minima parte. Il problema è di politica universitaria: le università non sono tutte uguali. Ci vorrebbe il coraggio di distinguere atenei dedicati alla ricerca e atenei che fanno solo didattica, ma nessun politico, di destra o di sinistra, si è mai dimostrato in grado di farlo. Se non viene incentivato di più il merito, e si continuano a finanziare atenei che in passato hanno adottato politiche di gestione disastrose, il sistema resta ingessato».

Giovanni Viafora – Corriere Veneto – 18 luglio 2013

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