Secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) l’esposizione delle persone al bisfenolo A (BPA) attraverso il cibo e altre fonti non alimentari (polveri, cosmetici e carta termica) si può considerare al di sotto della dose giornaliera tollerabile (DGT), e pertanto non ci sono rischi per la salute dei consumatori.
Sono queste le conclusioni del Panel Efsa dedicato ai materiali a contatto con gli alimenti (CEF), che alla luce dei nuovi studi ha deciso di ridurre di oltre 10 volte la DGT, passando da 50 a 4 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno (µg/kg di pc/giorno). Sulla base dei nuovi parametri, le stime di esposizione alimentare sommate a quelle provenienti da altre fonti, risultano da 3 a 5 volte inferiori alla DGT.
Per capire il significato della decisione, bisogna tenere presente che fino a pochi anni fa la principale fonte di bisfenolo A per i bambini era il biberon. Da quando nel 2011 l’Europa ha vietato l’uso del plastificante nei biberon, la situazione per i neonati (da sempre considerati i soggetti più a rischio) è migliorata e i livelli potenziali di assunzione si sono drasticamente ridotti. Sulla base di questa situazione, l’Efsa dice che attualmente non ci sono rischi per la salute dei consumatori, neppure per le fasce di età più vulnerabili come bambini, neonati e feti.
Bisfenolo A è una parola poco conosciuta dai consumatori, anche se stiamo parlando di un composto chimico molto impiegato nella plastica per stoviglie riutilizzabili e nei i rivestimenti interni delle lattine, oltre ad essere presente nella carta “termica” degli scontrini e delle ricevute fiscali. Il problema è che si tratta di una sostanza chimica classificata come “interferente endocrino” e, secondo gli esperti, i residui possono essere ingeriti attraverso gli alimenti e le bevande o assorbiti attraverso la cute e per inalazione. Gli studi sugli animali da laboratorio mostrano che gli effetti principali del BPA sono a carico di reni, fegato e ghiandola mammaria. È anche vero che i problemi si rilevano a dosi centinaia di volte superiori alla DGT, il cui calcolo ha tenuto conto di tutte le incertezze nei dati. C’è un altro elemento che l’Efsa sottolinea nel documento conclusivo, il valore temporaneo della DGT, in attesa dei risultati di studi in corso che saranno pronti fra 2-3 anni.
Nel 2006, quando l’Efsa ha valutato per l’ultima volta l’esposizione alimentare al BPA, erano disponibili meno informazioni e gli esperti sono stati costretti a formulare varie ipotesi. Oggi, sulla base delle ricerche, si può dire che l’esposizione alimentare è da 4 fino a 15 volte minore rispetto a quella a suo tempo calcolata dall’Efsa, a seconda della fascia di età dei consumatori.
Un’altra nota interessante è che per la prima volta gli esperti di Parma hanno considerato l’esposizione da fonti non alimentari, anche se ancora mancano dati sulla quantità di BPA assorbita dall’organismo attraverso il contatto con la carta termica. Il nuovo parere introduce importanti elementi innovativi dal punto di vista scientifico, ma dovrà essere rivisto fra qualche anno. Un ultimo aspetto importante è la scelta dell’Efsa di lanciare una consultazione pubblica che sul problema che ha raccolto ben 500 commenti da authority nazionali, istituti scientifici (come l’Istituto Superiore di Sanità italiano) e privati.
In questa situazione, ci sono Paesi come la Francia che da quest’anno hanno vietato l’impiego del bisfenolo A nel materiale a contatto con gli alimenti in virtù del principio di precauzione. La situazione è quindi in evoluzione anche se la riduzione di 10 volte la DGT (da 50 a 4 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno) lascia intendere che il BPA è una sostanza pericolosa che in prospettiva dovrà essere essere sostituita con altre non così critiche.
Roberto La Pira – Il Fatto alimentare – 22 gennaio 2015