Dobbiamo recuperare l’aggiornamento delle retribuzioni all’inflazione sì alla contrattazione di secondo livello. Bene D’Alia se qualificherà la spesa stabilizzare i precari e gestire la mobilità
«È una sfida che ho lanciato al Congresso e vedo che il ministro D’Alia ha intenzione di raccoglierla. Benissimo, da noi avrà un grande incoraggiamento perché noi questa battaglia di prospettiva e civiltà la faremo fino in fondo». Di quale battaglia parla Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl? «Della lotta senza quartiere allo scempio di denaro pubblico, alle inefficienze, ruberie e sprechi. Va scoperchiato un verminaio che rende opaca la democrazia. È da lì che devono venire le risorse per ridare dignità al pubblico impiego che è stato vilipeso e mortificato». Sono concetti simili a quelli che il ministro della Funzione Pubblica Gianpiero D’Alia ha indicato ieri, anticipando al Messaggero il percorso che il governo intende seguire per il pubblico impiego. Ma questa volta Bonanni sceglie parole forti, alza il tono e sottolinea così l’apertura di una stagione sulla quale il sindacato non sembra disposto a fare più sconti. Il blocco delle retribuzioni ormai è esteso al 2014. Il governo però riapre il negoziato sulla parte normativa e cerca di ristabilire nuove relazioni industriali. Vi convince? «Il blocco dei contratti ha generato il deserto e privato l’amministrazione di uno strumento di politica industriale su cui fare muovere le tante isole dell’enorme arcipelago della pubblica amministrazione: dalle Asl agli enti locali con livelli di autonomia molto variegati, al parastato, alle Regioni fino allo Stato centrale. Che ci sia la volontà, nonostante le difficoltà economiche, di riaprire il dialogo sulla parte normativa è positivo perché finisce per incidere anche sulla parte economica e soprattutto su quella organizzativa». Però? «Credo che si possa almeno mettere mano alla vicenda dell’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato. Il blocco totale delle retribuzioni, da tre anni, è costato dall’8 al 10% in media ai dipendenti pubblici. Qualcosa va fatto per attenuare una perdita di potere d’acquisto così vistosa e trovare una risposta regolamentare che riporti gradualmente all’adeguamento all’Ipca e non lo sterilizzi completamente». Cos’altro? «Bisogna riutilizzare una norma che finora ha trovato mille ostacoli e che spero il ministro sia d’accordo nel sostenere. E cioè l’impegno a utilizzare le somme recuperate dalla lotta alle inefficienze, ruberie, sprechi finora rimasti in una zona grigia coperta dalla pratica dei tagli lineari. Bisogna spezzare le connivenze tra politica ed economia. Molte risorse si possono recuperare da lì. Il passaggio successivo è l’intervento sulla contrattazione di secondo livello». Può fare qualche esempio di dovere andare a qualificare la spesa? «Il primo che mi viene in mente sono le consulenze dei ministeri. L’indirizzo era di ridurle, invece corrono come e, in qualche caso, anche più di prima. Ma lì dove si deve intervenire è sui pagamenti per l’acquisto di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni». Si spieghi meglio. «In questi giorni il Tesoro sta autorizzando degli anticipi per Comuni e Regioni in modo che possano pagare i propri fornitori. Giusto, in linea di principio. Ma qualcuno si è chiesto perché queste amministrazioni non si sono affidate alla Consip, la piattaforma per gli acquisti della Pa? La verità è che sulle forniture si esercitano traffici truffaldini. Se è così ragionevole comprare tramite un unico operatore che consente di acquistare a prezzi migliori, non si capisce perché non farlo. Allora noi denunceremo, con una lotta senza quartiere, questi sbalzi di prezzo che le amministrazioni rendono possibili». C’è dell’altro? «Sicuro. Guardiamo alla vicenda fiscale: i Comuni hanno spinto per rescindere il rapporto di riscossione con Equitalia, rea di aver impaurito troppo gli evasori. Ora vogliono fare il recupero dei crediti per conto loro, attraverso appalti che evidenziano un agio medio del 20% quando Equitalia si conteva tra il 6 e l’8 per cento. Insomma gli esempi non mancano per dimostrare che dobbiamo agire in questo mare magnum per recuperare le risorse sulla contrattazione come la legge, fra l’altro, prevede. Destiniamone metà all’erario, l’altra metà alla contrattazione di secondo livello». Il ministro ha parlato proprio di recuperare risorse per il miglioramento di produttività dalla spending review. «È molto importante perché premiare la produttività consente di migliorare anche i servizi e le prestazioni insieme ai salari. Noto che il ministro sembra disponibile su questo punto, noi lo incoraggeremo in questa direzione». Precari: il governo sta studiando un pacchetto da presentare entro l’estate per risolvere in tre anni al questione. Siete d’accordo? «Spero che su questo punto il ministro mantenga l’indirizzo di discuterne con il sindacato. I precari li ha creati il ceto politico locale e nazionale: da una parte si bloccava il turn over, dall’altra si assumevano precari. È una politica ipocrita che ha reso poco trasparente e poco efficiente l’utilizzo di professionalità non sempre appropriate». Quindi, che fare? «Penso si debba partire dalla stabilizzazione dei precari e in questo modo utilizzarli in modo flessibile per gestire i problemi di mobilità all’interno della Pubblica amministrazione. La mobilità, infatti, non può essere tra Palermo e Milano, a meno che non venga adeguatamente pagata. Piuttosto la stabilizzazione dei precari può essere l’occasione per discuterne nell’ambito di un’area più ristretta, di tipo metropolitano. Lo abbiamo sperimentato già nella scuola che ha assorbito 80.000 precari qualche anno fa. Il ministro dice che vuole impegnarsi per risolvere definitivamente il problema all’interno di un processo di 3 anni? Siamo pronti a discuterne». Non si rischia di impattare sui 7.000 esuberi già definiti? «I 7.000 esuberi sono una cifra teorica e su una platea di oltre 3 milioni di dipendenti pubblici si tratta di un numero molto gestibile. Dai nostri calcoli nessuno sarà licenziato». Siamo dunque arrivati al redde rationem nella Pa? «Direi proprio di sì. Dopo anni di blocco dei contratti, campagne denigratorie e stipendi mortificati, quale risultato si è ottenuto? Il numero dei dirigenti è cresciuto in misura irragionevole, la spesa è stata squalificata, le connivenze politico-economiche si sono ampliate. È ora di cambiare».
Il Messaggero – Barbara Corrao – 1 luglio 2013