Reduce dalle scoperte inimmaginabili fatte quando era consigliere di Mario Monti per la spending review, come quella che lo stato italiano «spende di norma ogni anno 461 milioni in mobili» (quattrocentosessantuno milioni!), Enrico Bondi ha maturato la convinzione che per individuare le cose che non funzionano «basta aprire i libri».
Perché «nei libri troviamo tutto», ha spiegato alla commissione d’inchiesta del Senato sul servizio sanitario nazionale. Ma non ha detto la cosa più importante e cioè che i libri, come i documenti, bisogna saperli leggere. E lui, in questo, è ritenuto generalmente uno dei più capaci.
Ecco la ragione per cui è stato scelto dal presidente del Consiglio per fare le radiografie ai possibili candidati alla Camera per la lista che dovrà sostenere la cosiddetta «Agenda Monti». Non è un mistero che l’ex rettore della Bocconi consideri le regole sull’incandidabilità appena varate dal suo governo, fra non pochi mal di pancia da parte di un Parlamento pieno di deputati e senatori alle prese con grane giudiziarie anche molto serie, una specie di compromesso al ribasso: a dispetto delle dichiarazioni pubbliche del ministro della Giustizia Paola Severino, che ha dovuto difendere comunque quel provvedimento. Monti sa bene che in nessun Paese europeo sarebbe considerato accettabile portare in Parlamento chi sia stato condannato da un tribunale a una pena fino a due anni di carcere per corruzione o concussione o per qualche altro reato, come invece consentito dalle norme appena varate. Ma nemmeno un semplice indagato. E non perché esista una legge che lo vieta, semplicemente perché non si fa. Difficilmente, in ogni caso, anche molti elettori italiani oggi sarebbero disposti a perdonargli una leggerezza simile. Conosce altrettanto bene l’attenzione che viene posta in Europa sui conflitti d’interessi, legge o non legge. Nel Regno Unito, Paese più rigoroso in questo campo, non esiste un provvedimento specifico: però nessuno si sognerebbe di candidarsi alla House of Commons trovandosi in situazioni imbarazzanti come quelle nelle quali molto spesso risultano i nostri onorevoli, nonostante le numerose norme che qui regolano le incompatibilità parlamentari. Non ci sarebbe dunque da stupirsi se l’esame di Bondi avesse come base di partenza le prassi anglosassoni: nessun indagato in lista e alla larga da ogni possibile conflitto. Tanto più per marcare la differenza rispetto al principale concorrente di Monti nella corsa all’elettorato del centrodestra: Silvio Berlusconi, proprietario di un impero televisivo che ha appena subito una condanna a quattro anni in primo grado.
Dopo essere stato bersagliato per mesi dalle polemiche sui presunti conflitti di alcuni componenti del governo tecnico che hanno scandito alcuni fra i passaggi più delicati, di tutto ha bisogno Monti fuorché di farsi impallinare a causa di qualche candidato particolarmente occupato in affari pubblici o privati. Ovvio. Ma allo stesso modo il premier non può rischiare sorprese sgradevoli nelle altre liste a lui apparentate e nei partiti che lo affiancano. Ciò riguarda soprattutto le formazioni politiche presenti da tempo in Parlamento, che potrebbero essere sottoposte a fortissime pressioni, senza avere meccanismi di selezione adeguati. In questo caso l’incarico a Bondi dovrebbe rappresentare un potente deterrente contro la tentazione di riesumare inquisiti o figure discutibili. Il messaggio è che chi sta con Monti non può essere una scialuppa di salvataggio. Beninteso, sempre che funzioni.
Sergio Rizzo – Corriere della Sera – 29 dicembre 2012