Quando l’imposta è abbattuta da voci diverse dalle detrazioni per lavoro dipendente il bonus scatta ugualmente. Alla fine il «bonus» si attesta a 640 euro per tutti i lavoratori dipendenti e i collaboratori «assimilati» che hanno un reddito compreso fra 8mila e 24mila euro all’anno, e un piccolo “decalage” assicura aiuti discendenti al crescere del reddito a chi si attesta nella fascia 24-26mila euro.
Nella versione finale del decreto Renzi scompare il meccanismo originario, che attribuiva un «credito» crescente, pari al 4% del reddito complessivo, per i dipendenti che dichiarano fino a 16mila euro. Il decreto “bollinato” dalla Ragioneria generale per la pubblicazione in «Gazzetta Ufficiale» cancella questa scala, che avrebbe finito per dare meno aiuti a chi ha un reddito più leggero. Estendendo a quasi tutta la platea coinvolta i 640 euro, cioè i «mitici 80 euro al mese» evocati dal presidente del consiglio nella conferenza stampa di venerdì scorso, il bonus recupera un’impostazione progressiva. Per capirlo è sufficiente fare due calcoli, al netto di famigliari a carico o di spese detraibili o deducibili che aiutano ad abbassare l’imposta: per chi dichiara 9mila euro all’anno, il «credito» previsto dal decreto definitivo aumenta del 7,3% il reddito disponibile annuale, cioè i soldi che rimangono in tasca dopo il trattamento fiscale, a 18mila euro il beneficio si attesta al 4,2% e a 24mila si scende al 3,3 per cento. Sopra i 24mila euro, la discesa della parabola alleggerisce progressivamente il bonus, fino ad azzerarlo a quota 26mila.
In questo nuovo quadro, l’unico “buco” nella progressività dell’aiuto rimane quello degli incapienti, cioè dei redditi fino a 8mila euro che non pagano l’Irpef grazie alle detrazioni già in vigore. Attenzione, però: Irpef zero non è sinonimo di esclusione dal credito, perché quando l’imposta è abbattuta da voci diverse rispetto alle detrazioni per lavoro dipendente (per esempio un famigliare a carico) il bonus scatta ugualmente. In altre parole, un contribuente che
7 Gli dichiara 11mila euro ma non paga Irpef perché ha coniuge e figlio a carico e qualche piccola spesa sanitaria detraibile riceve comunque i 640 euro.
Ma nella versione finale del decreto si fa strada un’altra precisazione importante: il credito, spiega il testo (articolo 1, comma 2) «è rapportato al periodo di lavoro nell’anno». Le istruzioni ufficiali saranno probabilmente chiamate a chiarire più di un caso dubbio, ma il principio pare chiaro: chi lavora nel corso di tutto il 2014 ottiene i 640 euro pieni, chi lavora 10 mesi ha diritto a 10/12 (533 euro), se si lavora per sei mesi si ottiene il 50% (320 euro) e così via. In pratica, la distribuzione del bonus è articolata in otto mesi, da maggio a dicembre, ma il diritto si matura in dodici.
Un meccanismo di questo tipo sembra comportare un’altra piccola estensione del bonus rispetto a quanto emerso fino a oggi, perché concederebbe una parte dell’aiuto anche a chi ha lavorato nei primi mesi dell’anno, quindi prima dell’entrata in vigore del decreto, ottenendo un reddito di almeno 8mila euro. Questo sistema, però, può determinare anche qualche complicazione: un lavoratore che vede finire il proprio rapporto a novembre ha diritto a 11/12 del credito che però, almeno nei casi in cui la cessazione non è già prevista per scadenza del contratto, per ora viene erogato intero, con la conseguenza di imporre un piccolo recupero ex post della somma data in eccesso.
Il Sole 24 Ore – 24 aprile 2014