Si tratta del primo caso di applicazione nel Veneto Orientale delle normative che prevedono la soppressione dei capi di bestiame di cui non è possibile risalire all’origine e alla provenienza
Norme restrittive a tutela dei consumatori che sono state introdotte alcuni anni fa, dopo che anche in Italia era scoppiato l’allarme per il diffondersi dell’encefalopatia spongiforme bovina (Bse), il cosiddetto «morbo della mucca pazza». L’animale dalla provenienza incerta è stato scoperto dai servizi veterinari dell’Asl 10 all’interno di una stalla di un Comune del Sandonatese.
Un buon segnale per i consumatori: i controlli sanitari ci sono e funzionano. A far scattare il sequestro preventivo è stata un’anomalia riscontrata dai veterinari sul numero identificativo del capo di bestiame. A ogni bovino, infatti, viene assegnato un codice d’identità univoco, che accompagna l’animale dal momento della nascita fino alla sua macellazione. Nel caso in questione, però, sembra che il bovino abbia un numero identificativo corrispondente a un capo di bestiame che risulta già essere stato macellato.
Perché questa anomalia? I motivi potrebbero essere i più disparati. La circostanza più probabile è che si tratti di un mero errore materiale. Chi ha macellato il primo bovino potrebbe aver sbagliato a inserire il numero identificativo. Oppure l’errore potrebbe essere stato commesso nell’attribuire al momento della nascita la cifra sbagliata al bovino ora sottoposto a sequestro. Ma c’è anche la possibilità che l’animale in questione sia di dubbia provenienza e che qualcuno, nei vari passaggi di proprietà dell’animale, possa avergli assegnato il numero di quello già macellato. Sta di fatto che la normativa non ammette deroghe: un capo di bestiame di cui non è possibile rintracciare l’origine deve essere abbattuto.
Il bovino è già stato sottoposto a sequestro cautelare da parte dei servizi veterinari e ieri il Comune, nel cui territorio ha sede la stalla, ha emesso l’ordinanza di abbattimento dell’animale, sul cui rispetto vigileranno gli agenti della polizia locale. Come da prassi di legge, sulla carcassa saranno eseguiti tutti gli esami di rito, compreso il test della Bse, anche se non vi sarebbe alcun timore in tal senso. In ogni caso, l’ordinanza vieta tassativamente che le carni dell’animale possano essere destinate dopo l’abbattimento all’alimentazione umana, anche qualora tutti i test risultassero come probabile negativi.
La Nuova Venezia – 22 febbraio 2013