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Bruxelles. Le oliere nei ristoranti che fanno litigare l’Europa

L’Italia: solo bottiglie monouso. Ma il Nord dice no

BRUXELLES — «Agli ulivi un pazzo sopra/ e un savio sotto»: parola della saggezza popolare, tramandata nei proverbi. Voleva dire che, alla potatura, sui rami più alti occorrono le mazzate di braccia robuste e su quelli più bassi il tocco leggero di chi sa concimare. Ma c’era poi chi diceva: balle, superstizioni da burini. E anche oggi, ulivo e olio fanno discutere. Perfino ai piani alti dell’Unione europea: dopo aver annunciato una settimana fa che dal 2014 le bottiglie monouso e con etichetta anti-frode avrebbero sostituito per sempre le oliere anonime «da rabbocco» tanto amate dagli osti volponi, ieri Bruxelles ha fatto una capriola e si è rimangiata metà del regolamento appena approvato.

Il commissario Ue all’agricoltura, il romeno Dalan Ciolos, ha spiegato che l’idea «non ha suscitato un vasto sostegno fra i consumatori». Perché «è evidente che in questo periodo una misura così, mirata ad aiutare il pubblico dei consumatori, a informarli meglio e a difenderli dagli imbrogli, non è stata formulata in modo da ottenere un ampio consenso». Per ora, dunque, niente divieti. Anche se in Paesi come l’Italia, per proprie normative interne, quello stesso divieto è tranquillamente in vigore dal 2006: a tavola, soltanto bottiglie con tappi anti-manomissione (almeno sulla carta, perché la realtà è spesso un po’ diversa).

Ora si vedrà, si faranno altre consultazioni, saliranno in processione a Bruxelles le molte lobbies che governano questi benedetti uliveti: ma resta un po’ di nebbia, ancora, sulle vere motivazioni della capriola.

Quel che il commissario Ciolos non ha aggiunto — non ce n’era bisogno, tutti lo sanno — è che dietro la polemica domestico-igienica, da sgabuzzino comunitario, c’è molto di più: c’è, appunto, una vera «guerra delle oliere», non solo alimentare ma anche economica e culturale, che divide il Nord dal Sud Europa.

Erano e sono infatti una quindicina i Paesi che hanno votato per la cacciata dell’oliera truffaldina, quella dalla bocca anonima sempre offerta ai baci di tutti i commensali. Sono Paesi del Centro-Sud, guidati da Italia, Spagna e Portogallo, che grazie al loro sole e alla loro terra producono — fino a prova contraria — l’olio più apprezzato del mondo: e quell’olio è una loro risorsa economica fondamentale, perciò ci tengono a difenderlo dai cuochi cialtroni. Sul fronte opposto, hanno votato «no» al divieto grandi e ricchi Paesi del Nord, produttori industriali, che se non hanno tanto olio hanno però gli strumenti economici per imporre i loro interessi. Primi fra loro sono naturalmente la Germania e l’Olanda, che questa volta hanno battuto sul tamburo dell’ideologia: la mega-Europa non può ficcare il naso anche nelle oliere dei suoi cittadini, questo l’argomento principe, e deve perciò lasciare a tutti la libertà di scelta. Alla fine, non prevalendo alcuna maggioranza, ha vinto il «no» dei nordisti. Ma ieri, ecco la Gran Bretagna che fa ricorso, e così si è giunti al caos attuale.

Intanto, in Italia, protestano tutte le organizzazioni degli agricoltori, il ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo invoca «una battaglia culturale e di legalità», e a Bruxelles il presidente della commissione agricoltura dell’Europarlamento Paolo De Castro accusa i nordisti di «un ulteriore attacco all’istituzione europea, un attacco opportunistico». La guerra delle oliere non finirà certo presto. Ma «l’olio e la verità tornano a galla», come dice un altro vecchio proverbio.

Luigi Offeddu – Corriere della Sera – 24 maggio 2013

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