Maurizio Tropeano. La traduzione italiana del termine inglese «otp out» del linguaggio burocratico della Commissione Europea è rinuncia. Il governo italiano ha scelto di usare l’opzione per confermare a Bruxelles, e anche alle grandi multinazionali, il divieto di coltivazione su tutto il territorio nazionale delle otto tipologie di mais geneticamente modificate autorizzate dall’Ue.
«Abbiamo attuato – spiega il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina – la nuova normativa europea che dà più autonomia agli Stati membri. La nostra scelta guarda alle caratteristiche del modello agricolo italiano, che vince e si rafforza puntando sempre di più sulla qualità e sulla distintività».
L’alleanza dei contrari
Il no italiano allarga il fronte dei contrari agli Ogm che adesso conta su altri 18 stati: Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Slovenia e Ungheria, mentre la Gran Bretagna ha presentato domanda per Scozia, Galles e Irlanda del Nord e il Belgio per la Vallonia.
La decisione
La decisione del governo italiano è il frutto del lavoro congiunto del ministro Martina e dei colleghi Lorenzin (Sanità) e Galletti (Ambiente). Secondo il responsabile dell’agricoltura la scelta nasce dalla considerazione che «l’Italia ha un patrimonio unico di biodiversità» e che questo rappresenta «un valore non solo da tutelare, ma da promuovere». E il ministro dell’Ambiente ricorda come la battaglia «che abbiamo fatto in Consiglio Ambiente durante il semestre europeo, e che abbiamo vinto, ci ha permesso di modificare la direttiva europea». Prima, infatti, «per i Paesi europei non era possibile rifiutare la coltivazione di Ogm, c’erano lunghi ricorsi, si rischiava l’infrazione Ue. Adesso la direttiva è stata modificata nel senso che volevamo noi».
Reazioni positive
Secondo Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia: «Il fronte del No rappresenta il 65 per cento della popolazione dell’Unione Europea e si estende sul 66,2 per cento della terra coltivabile». E aggiunge: «Adesso dobbiamo bloccare l’approvazione di nuovi Ogm e rivedere completamente il processo di valutazione dei rischi e di autorizzazione degli Ogm a livello europeo». Secondo Coldiretti si tratta «di una conferma della crescente opposizione agli organismi geneticamente modificati in agricoltura in tutta Europa, dove riguarda la stragrande maggioranza dei Paesi, perché non hanno mantenuto le promesse miracolistiche». Le superfici seminate a transgenico nell’Unione Europea «non solo sono del tutto marginali rispetto al totale – prosegue Coldiretti – ma addirittura in calo nel 2014 con una diminuzione del 3 per cento». Per quanto riguarda l’Italia il no del governo asseconda un sentimento che, secondo un’indagine commissionata ad Ixè è condiviso da quasi 8 cittadini su 10 (76 per cento).
Il nodo dell’import
Non la pensa così Rocco Tiso, presidente nazionale di Confeuro, che parla di una decisione «frettolosa e avventata» perché è stata «presa in senso unilaterale, senza il coinvolgimento di tutti gli attori che compongono il settore primario». E l’associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica attacca: «L’Italia proibisce gli Ogm ma li importa, favorendo le multinazionali contro i nostri scienziati». Secondo l’associazione «i ministri evidentemente fanno finta di ignorare, e nascondono ai cittadini, il fatto che l’Italia continua imperterrita ad importare oltre 4 milioni di tonnellate di soia Ogm ed a questa si aggiunge l’importazione anche di un miliardo di mais estero (in parte Ogm)». Secondo Piero Morandini, ricercatore presso il Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano e membro coordinamento mondiale degli scienziati del settore pubblico attivi nella ricerca biotecnologica sulle piante, «vietare la coltivazione scoraggia la ricerca e non ci sono motivi scientifici per farlo».
La Stampa – 11 ottobre 2015