Roberto Petrini. I 25 milioni di proprietari di prima casa corrono il rischio di cominciare ad abituarsi piacevolmente all’idea. Se si guarda la “top ten” dei risparmi, realizzata dalla Uil politiche territoriali, si scopre che a Torino il piano-Renzi farebbe risparmiare 403 euro a famiglia fin dal prossimo anno, 391 a Roma, 346 a Firenze, fino ai 300 a Milano. La Borsa approva: l’indice delle società immobiliari conta su un rialzo dei prezzi delle case con il taglio delle tasse e sale del 2,51 per cento.
Ma la strada del “Contratto dell’Expo” di tagli di imposte da 50 miliardi in cinque anni è tutta in salita e il campanello d’allarme già suona: la manovra prevista dalla legge di Stabilità per il 2016 si sta gonfiando e dai 20 miliardi finora previsti sta superando la soglia dei 25 miliardi. Anche accettando di lasciare agli sviluppi futuri del biennio 2017-2018 i tagli di Irap-Ires e le aliquote Irpef, e decidendo di concentrare l’attenzione solo alla tassa sulla casa, la Tasi, il conto per il 2016 resta salato. Il costo del primo step dell’intera operazione è di circa 5 miliardi: 3,8 miliardi costa la Tasi sulla prima casa (arriva a 4,6 se si calcola anche la Tasi sulle altre abitazioni), a questa cifra va aggiunto anche 1 miliardo per eliminare, come promesso da Renzi, l’Imu agricola e la famigerata Imu “imbullonata” (quella che si paga per i macchinari “incardinati” dentro i capannoni).
Anche se ci si limita a questa visione più realistica dell’operazione la legge di Stabilità del prossimo anno corre il rischio di salire dai 20 miliardi fino ad oggi ipotizzati a circa 25 miliardi. La lista della spesa fa tremare i polsi. In prima battuta ci saranno infatti da trovare 12,8 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva di 2 punti a partire dal 1° gennaio 2016; poi servono i 3,3 miliardi eredità del governo Letta a garanzia del taglio di agevolazioni e detrazioni fiscali. A queste risorse vanno aggiunti 500 milioni per la reindicizzazione delle pensioni nel 2016 dopo la sentenza della Consulta; 1,6 miliardi per il ritorno della contrattazione del pubblico impiego (anche in questo caso dopo la sentenza della Consulta). Da recuperare anche circa 700 milioni del mancato gettito della Robin tax su petroli ed energia, bocciata dalla Corte costituzionale e i 728 milioni del meccanismo anti evasione dell’Iva “reverse charge” cancellato da Bruxelles. Inoltre bisognerà prorogare la decontribuzione per i nuovi assunti a tempo indeterminato prevista dal pacchetto «Jobs act»: costa 1,5 miliardi. Senza prendere in considerazione le altre spese inderogabili e dell’ultima ora, siamo intorno ai 20 miliardi che, aggiunti ai 5 del pacchetto casa, fatto più di 25 miliardi.
Come trovarli? Circa 10 miliardi dovrebbero venire dalla spending review, operazione sempre complicata: lo stesso responsabile Gutgeld ha dichiarato di contare oltre che sui tagli della spesa (dove tornano i ministeri e le municipalizzate), anche su crescita e deficit (il prossimo anno è previsto all’1,8 e potrebbe salire restando prudentemente sotto il 3 per cento). La partita si gioca anche sul vincolo del pareggio di bilancio cui siamo impegnati per il 2017: si potrebbe prevedere un rinvio ulteriore al 2018 (dopo quello del 2016 e del 2017). Oppure si potrebbe utilizzare la “clausola riforme” di cui il governo italiano ha già chiesto l’attivazione per avere la possibilità di limitare la discesa del disavanzo strutturale verso il pareggio nel 2016: avremmo dovuto fare tagli per 0,5 del Pil invece, grazie alle riforme, facciamo solo 0,1 e il restante 0,4 (pari a circa 6,4 miliardi) ci viene abbuonato. La “clausola” tuttavia è già stata usata ed incorporata nel Def e al massimo, se Bruxelles fosse d’accordo, si potrebbe chiedere solo un piccolo allargamento dello 0,1 e non sufficiente a coprire l’abolizione della Tasi. La caccia alle risorse è aperta.
Repubblica – 21 luglio 2015