L’Italia è vicina all’abolizione della pratica dei richiami vivi, uccellini selvatici catturati e sfruttati per attirare verso i fucili dei cacciatori i propri simili. Una battaglia che ha visto schierate tutte le associazioni per la difesa degli animali e ora molti parlamentari
Mai come oggi, con la Legge comunitaria al voto in Parlamento – a breve il passaggio in Senato – l’Italia è stata vicina ad abolire la feroce pratica dei richiami vivi, gli uccellini selvatici catturati, imprigionati e mutilati per attrarre nella trappola di fuoco dei cacciatori i propri simili.
“Nel 1972 più di un milione di cittadini europei sottoscrisse una dichiarazione con cui comunicava l’intenzione di boicottare le nostre località turistiche, fin quando l’Italia avesse consentito la cattura degli uccelli a fini di richiamo” dice Danilo Selvaggi, direttore generale della Lipu-Birdlife Italia, che per prima ha presentato un emendamento (imitata in queste ore da molti senatori) con cui si chiede la cancellazione di un’usanza violentissima, grazie a cui il nostro Paese è stato di recente messo in mora dall’Europa. “Quelle firme andarono al Senato, che però decise di non agire. Ebbene, 40 anni dopo i senatori hanno una nuova, grande occasione. In tanti ci auguriamo che non se la lascino sfuggire”.
Promotrice di una campagna d’informazione partita nell’autunno scorso, e di una petizione che ha raccolto cinquantamila firme, pari al numero di uccelli catturati ogni anno in Italia per finire esche viventi, la Lipu è affiancata nell’impresa da una cordata di associazioni (fra cui Enpa, Cabs, Lac, Lav, Wwf Italia, Animalisti Italiani onlus) e molti parlamentari, oltre a una schiera sempre più fitta di sostenitori.
Il più recente è Jonathan Franzen, appassionato di volatili tanto da definirsi un birdman che l’anno scorso ha co-prodotto un documentario sull’antibracconaggio. Lo scrittore è intervenuto con una lettera pubblicata oggi su Repubblica, pregando il nostro Governo e in particolare il presidente del Consiglio Matteo Renzi di “fare dell’Italia un Paese più sicuro per gli uccelli migratori, ponendo fine a una crudele pratica venatoria ormai scaduta… riparando ai torti inferti agli uccelli e cambiando per il meglio la propria immagine dinnanzi al mondo”.
La vita di un uccello destinato a tradire involontariamente i propri simili è a ogni effetto atroce. I piccoli migratori vengono intrappolati a migliaia con apposite reti, poi rinchiusi nelle gabbiette dove trascorreranno il resto dell’esistenza deprivati di tutto. Spesso accecati di proposito, se non privi della vista a causa dal buio perenne dei garage e magazzini dove sono custoditi, sviluppano atrofie, ferite, malattie dovute a immobilità, mancanza di igiene, sofferenza. L’unica occasione in cui torneranno a percepire l’aria aperta, è all’inizio della stagione venatoria. Ormai privo della cognizione delle stagioni, d’istinto il prigioniero canta, scambiando l’autunno per la primavera e richiamando tragicamente a sé gli stormi di passaggio.
Mentre la Direttiva Uccelli comunitaria vieta la cattura di uccelli selvatici per farne esche, l’Ue ci ha contestato l’indispensabilità dei richiami vivi, ricordando che si può ben cacciare con metodi alternativi (ad esempio fischiando). Intanto, in Italia risultano oltre 170 gli impianti di cattura ufficialmente attivi ogni anno, 459 quelli autorizzati fra il 1994 e il 2005 in sei regioni: Lombardia, Marche, Toscana, Veneto, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige.
Benché il limite massimo di uccellini in schiavitù consentiti per ciascun cacciatore – allodole, cesene, merli, tordo sassello, tordo bottaccio, colombacci, pavoncelle – non possa superare i 40 esemplari, il mercato dei richiami vivi è inesausto e ispira pure bracconaggio, traffici, illeciti scambi dell’anello identificativo da un animale all’altro. Oltre a pratiche di allevamento che, non riuscendo a ottenere soggetti capaci di cantare come i simili in libertà, dispensano a piene mani ormoni e additivi.
“Sono convinto che quella dei richiami vivi, ancorché antica e radicata in molte regioni italiane, sia una pratica inaccettabile” dichiarava a Repubblica, i primi di maggio, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, promettendo di impegnarsi per individuare una exit strategy che oggi sembra potersi concludere solo con la soppressione di tanta inciviltà.
Repubblica – 6 luglio 2014