di Emanuele Coen, da L’Espresso. Non è mai stato così acceso lo scontro ideologico tra chi mangia carne e chi ne fa a meno per ragioni etiche, ambientali o salutiste. «Carnivori assassini!», «animalisti talebani!», «macellai killer!», «nazivegani!»: un clima da stadio caratterizza il dibattito pubblico su giornali, tv e Facebook. Minacce, blitz e insulti: onnivori che tacciano vegetariani e vegani di integralismo, “veg” oltranzisti che accusano la controparte di voler distruggere il pianeta e massacrare gli animali. La convivenza diventa difficile, talvolta degenera.
Di recente un gruppo di animalisti si è radunato sotto la sede di Radio 24, a Milano, per contestare Giuseppe Cruciani, conduttore della trasmissione “La Zanzara”, dopo numerose provocazioni contro chi non mangia carne lanciate via etere dal giornalista. Cruciani ha sfidato i manifestanti brandendo un salame e la rissa è stata evitata per un soffio. Intanto il Partito animalista europeo ha lanciato una petizione online su Change.org, rivolta al ministro della salute Beatrice Lorenzin e sottoscritta finora da quasi 60 mila persone, per chiedere l’abrogazione immediata della macellazione secondo i riti ebraico (kosher) e islamico (halal), che derogano alle norme nazionali e comunitarie che impongono lo stordimento dell’animale prima dell’uccisione, al fine di evitargli dolori e sofferenze. Lo stile comunicativo del Pae è aggressivo, “splatter” con la foto dei bovini agonizzanti in un lago di sangue, ma l’argomento è serio. Sulla spinta dei movimenti animalisti, oggi la macellazione religiosa è vietata in diversi Paesi tra cui Danimarca e Olanda. Con toni diversi, il Movimento 5 Stelle nel 2013 ha presentato una proposta di legge, che giace in commissione Agricoltura alla Camera, secondo cui qualsiasi tipo di macellazione, anche quella rituale, deve essere preceduta dallo stordimento dell’animale.
AIUTO, HO SPOSATO UNA VEGANA
In Italia il numero di vegetariani e vegani ha raggiunto il massimo storico: circa l’8 per cento della popolazione nei calcoli del Rapporto Eurispes 2016, quasi 5 milioni di persone. Il 7,1 per cento degli italiani si dichiara vegetariano, quest’anno la quota è aumentata di quasi due punti percentuali. Ma la vera novità è costituita dai vegani, che rappresentano l’1 per cento della popolazione, circa 600 mila persone. Poche, ma in crescita. Fondato sul rifiuto di ogni forma di sfruttamento degli animali, il veganismo è una filosofia che esclude dalla dieta non solo ogni tipo di carne ma anche i derivati degli animali come uova, latte, formaggi e miele, anche sotto forma di ingredienti in altri alimenti. Sono ammesse le proteine vegetali come il seitan, ricavato dal glutine di grano tenero, e il tofu, che si ottiene dalla cagliata del latte di soia. Quanto all’abbigliamento, il vegano indossa solo capi in fibre vegetali e sintetiche: niente lana, seta e imbottiture in piuma, off limits anche cosmetici e prodotti per la pulizia della casa testati su animali. Così nascono anche catene di supermercati e fast food in franchising (Veggy Days, Universo Vegano), ristoranti e bistrot “cruelty-free”, linee speciali di prodotti alimentari nella grande distribuzione, “macellerie” vegane con ampia scelta di hamburger vegetali, perfino i sobri cornetti vegani fanno capolino nei bar a scapito di ciambelle e brioche.
Ma cosa spinge le persone ad abbracciare questo stile di vita? La risposta è nell’indagine Eurispes: la maggior parte di chi ha risposto di essere vegetariano o vegano è mossa da ragioni che hanno a che fare con la salute e il benessere: il 46,7 per cento. Il 30 per cento, invece, dalla sensibilità nei confronti degli animali, mentre poco più del 12 per cento dall’attenzione per l’ambiente. «Molti dicono che quella vegana sia una scelta estrema, ma forse l’unica cosa veramente estrema è la consapevolezza, la conoscenza dei metodi di allevamento, produzione e sfruttamento di animali e ambiente», scrive Martina Donati nel suo libro “Keep calm e diventa vegano” (Newton Compton editori), pensato per chi desidera avvicinarsi al mondo “vegan” in maniera consapevole. A differenza di chi, come Fausto Brizzi, ci è incappato per amore: nel suo libro “Ho sposato una vegana – Una storia vera, purtroppo” (Einaudi Stile Libero), il regista e scrittore romano racconta le avventure tragicomiche di un onnivoro – lui stesso – perdutamente innamorato di una donna vegana, l’attrice Claudia Zanella, che poi diventerà sua moglie. A cominciare dal primo incontro in un ristorantino «specializzato in carne alla brace, salumi di cinta senese e mozzarelle di bufala, che sono la prova che Dio esiste e abita a Caserta», quando Claudia gli rivela “la terribile verità”: «Ah, a proposito, io sono vegana». E si apre lo scontro di civiltà.
“GERMIDI SOIA” SOTTO TIRO
A volte la critica corre sul filo della satira. Come nel caso del cuoco vegano Germidi Soia, personaggio esilarante, uno dei più riusciti del comico Maurizio Crozza, che imita lo chef Simone Salvini nel programma tv “Crozza nel paese delle meraviglie” (su La7) con battute del tipo«la zucca quando viene tagliata piange, chiediamole scusa». Vegetariano da 23 anni e vegano dal 2011, nel suo campo Salvini è un guru: ha scritto diversi libri, tra cui “Cucina vegana” (Mondadori), con le prefazioni dello chef Pietro Leemann e Umberto Veronesi. «Il cibo dovrebbe unire, e invece crea divisioni tra guelfi e ghibellini: onnivori da una parte, vegani e vegetariani dall’altra. Del resto è nella nostra natura schierarci, il radicalismo è dentro di noi», dice il cuoco fiorentino, che qualche anno fa rinunciò a formaggi e latticini per sposare la filosofia vegana. «È stata una scelta dura. Quando Crozza mi prende in giro coglie nel segno, davanti a un buon pecorino mi scende ancora la lacrimuccia», scherza. Ma poi diventa serio se si parla di caseifici e allevamenti: «Sono a favore della cultura dei pastori e contro il formaggio che proviene dalle mucche inseminate artificialmente. E se il consumo di carne diminuisce mi spiace per gli allevatori dal punto di vista umano, ma mi chiedo: ha senso continuare così oppure vale la pena puntare sugli allevamenti biologici? Bisognerebbe ridurre il numero di mucche e aumentare le superfici coltivabili, a mio avviso ne guadagnerebbero l’ambiente e la salute dell’uomo. Chi semina grano semina giustizia, diceva Zarathustra».
Suona come un ossimoro, un vegano fiorentino. È più in sintonia con la cultura gastronomica della sua città il cuoco Fabio Picchi, che nella patria della bistecca alta tre dita aprì nel 1979 il ristorante Cibrèo. Il suo libro “Firenze-Passeggiate tra cibo e laica civiltà” (Giunti editore) è un inno all’orgoglio carnivoro, scandito da ricette tipiche: involtini di manzo, coniglio alla cacciatora, trippa alla fiorentina. «Sono così rispettoso del pensiero altrui che non riesco a deridere chi non mangia carne. Del resto, io stesso ne mangio pochissima e buonissima», esordisce cauto Picchi, che poi sottolinea: «Rispetto i vegani e pretendo rispetto. Tuttavia, trovo barbaro incolpare chi mangia un piccione una volta all’anno e sottacere della chimica che avvelena la terra e le nostre vite».
ORGOGLIO CARNIVORO
Fatto sta che i consumi di carne, in Italia, continuano a flettere. Con 78 chili a testa all’anno, sono ben al di sotto di quello di Paesi come gli Stati Uniti (125 chili pro capite), o Australia (120 chili). Come rileva Coldiretti nel dossier “#bracioleallariscossa”, gli acquisti delle famiglie sono calati del 9 per cento nel 2015 per la carne fresca di maiale e del 6 per cento per quella bovina. Effetto della crisi, della diffusione delle culture vegetariana e vegana, degli studi scientifici che ammoniscono sui rischi di una dieta troppo ricca di carne e insaccati. Di recente Coldiretti ha organizzato la prima giornata nazionale dell’orgoglio carnivoro, portando in piazza a Torino migliaia di persone per un grande barbecue con l’hashtag #bracioleallariscossa. «Non abbiamo manifestato contro qualcuno, ma per fare chiarezza sulle ragioni del 90 per cento degli italiani che consuma carne nonostante allarmismi infondati, provocazioni e campagne diffamatorie», dice il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo: «Dal punto di vista del benessere degli animali e dei controlli veterinari, l’Italia è da primato mondiale. Nei nostri allevamenti sono vietati gli ormoni, gli estrogeni e gli anabolizzanti consentiti negli Stati Uniti».
GUERRA DEI MENU A SCUOLA
L’ultima frontiera del conflitto è la scuola. Sono sempre più numerose le famiglie che chiedono al preside degli istituti frequentati dai figli di modificare il menu della mensa per venire incontro alla loro scelta vegetariana o vegana, sostenuti in molti casi dalla Lav, la Lega anti vivisezione. Alcuni Comuni (La Spezia, Milano) acconsentono, altri invece (tra cui Bologna e Torino) richiedono certificati medici, altri ancora non danno corso alla richiesta, per ragioni mediche o organizzative, in qualche caso la lite finisce con le carte bollate. Poche settimane fa il ministero della Salute ha diramato una nota agli assessorati alla Sanità, alle Regioni e alle province autonome per adeguarsi alle linee guida per la ristorazione scolastica, in vigore dal 2010, che prevedono la sostituzione – su semplice domanda dei genitori, senza certificato medico – delle diete scolastiche in ragione di «ragioni etico-religiose o culturali». Se si fa eccezione per ebrei e musulmani, insomma, si deve fare anche per vegani e vegetariani. «Il nostro ufficio legale sta mandando diffide ai sindaci di tutte le città d’Italia che chiedono il certificato medico per adeguare i menu. È una discriminazione, ingiustificata dal punto di vista etico e medico», commenta Gianluca Felicetti, presidente Lav.
Dal punto di vista della salute, in verità, la questione è piuttosto controversa. Alcuni neuropsichiatri infantili, infatti, sostengono che la dieta vegana per un bambino può comportare il rischio di anoressia. In ogni caso, i bimbi che non mangiano proteine animali devono integrare la vitamina B12 e altre sostanze di cui necessitano durante la crescita.
«A differenza degli adulti, tutti i bambini tendono a selezionare i cibi in maniera drastica, è un tema noto in pediatria. E la scelta vegana rappresenta una selezione ulteriore», avverte la nutrizionista Lucilla Titta dello Ieo di Milano, l’Istituto europeo di oncologia fondato da Umberto Veronesi. Secondo la studiosa, coautrice insieme a Eliana Liotta e Pier Giuseppe Pelicci del libro “La dieta smart food” (Rizzoli), uno stile alimentare è sano se abbassa il rischio di incidenza di cancro, diabete, malattie cardiovascolari e neurodegenerative. «Una dieta con queste caratteristiche può essere onnivora, vegetariana o vegana», conclude Titta: «Non bisogna stigmatizzare la scelta vegetariana o vegana, ma qualsiasi stile alimentare non conforme alla buona educazione alimentare. Esistono genitori vegani che non si preoccupano della salute dei propri figli e adulti non vegani che li fanno diventare obesi. Tutti i genitori dovrebbero essere aiutati da un pediatra».
L’Espresso – 6 giugno 2016