La sentenza 17204/2013 ha svincolato dall’obbligo di acquisire il consenso dell’interessato le indagini sui lavoratori dirette a far valere un diritto dell’azienda. Al centro del giudizio un vicedirettore di banca licenziato a seguito di un’indagine disciplinare sulla movimentazione di conti a lui intestati presso la banca della quale era dipendente. La questione è se l’azienda potesse cercare, acquisire e utilizzare quelle informazioni.
La regola generale (affermata dall’articolo 23 del Codice in materia dei protezione dei dati personali) subordina il trattamento dei dati (e, quindi, delle informazioni) al consenso espresso dell’interessato, che deve ricevere l’informativa sul trattamento. Secondo la sentenza dell’11 luglio scorso, tuttavia, al caso in esame si applica la deroga – prevista dall’articolo 24, lettera f), del Codice in materia di protezione dei dati personali – che esime dall’obbligo di acquisire il consenso dell’interessato quando il trattamento è necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria. In questo caso il diritto in questione è quello di tutelare il patrimonio aziendale dal dipendente infedele.
Informazioni sul debitore
Un’ulteriore deroga all’obbligo di acquisire il consenso dell’interessato al trattamento è stata individuata dalla sentenza della Cassazione 17203/2013. In questo caso il concessionario per la riscossione dei tributi della provincia di Lecce, aveva sottoposto ai clienti di un consulente del lavoro un questionario con la richiesta di informazioni sul suo conto. Il concessionario si era presentato ai clienti come creditore del consulente e, attraverso i questionari, aveva effettuato un trattamento dei dati relativi alla sua persona.
Secondo la Cassazione, il concessionario non è tenuto chiedere al debitore il consenso al trattamento, quando (come nel caso affrontato) sia necessario per far valere un diritto (nei confronti del debitore). Per di più – rileva la sentenza – il concessionario ha agito in base a una specifica disposizione di legge (l’articolo 75-bis della legge 286/2006) che gli consente di chiedere ai debitori (del soggetto iscritto a ruolo o dei coobbligati) di indicare per iscritto, se possibile in modo dettagliato, le cose e le somme dovute al creditore.
Telecamere in condominio
Altra deroga, questa volta di carattere generale, alle disposizioni in materia di dati personali, è stata affermata dalla Cassazione con la sentenza 28554/2013. Chi è stato filmato da telecamere condominiali mentre danneggia un’auto non si salva con la normativa sulla privacy. Le videoregistrazioni costituiscono una prova documentale, la cui acquisizione in giudizio è consentita dall’articolo 234 del Codice di procedura penale. Questa disposizione consente l’acquisizione nel processo di documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante qualsiasi mezzo.
In questo caso la legittima aspirazione alla privacy si contrappone all’esigenza probatoria. E la Cassazione privilegia il diritto di difesa. La sentenza reputa infatti «irrilevante che siano state rispettate o meno le istruzioni del Garante per la protezione dei dati personali, poiché la relativa disciplina non costituisce sbarramento all’esercizio dell’azione penale».
Il Sole 24 Ore – 23 settembre 2013