La reputazione dei dipendenti non si può sacrificare tanto alla leggera, specie se ci si trova in un contesto pubblico e davanti a una platea. Lo ha chiarito la Cassazione, stilando, in questo modo, un vademecum per essere un buon dirigente.
Nell’abc dettato dalla Quinta sezione penale, è sempre necessario “accertare se il sacrificio della reputazione del dipendente sia proporzionato all’interesse perseguito, posto che la valutazione della continenza non può prescindere dalla comparazione dei valori in gioco”.
In questo modo, la Suprema Corte ha disposto un nuovo esame della vicenda che vede imputato per diffamazione il presidente della Coop Centro Italia, colpevole di avere offeso, nel corso di un seminario, la reputazione di un suo dipendente affermando, pur senza nominarlo, che l’assistente era stato rimosso “per incapacità a ricoprire il ruolo”. Per questa sua esternazione, il dirigente era stato condannato per il reato di diffamazione sia in primo sia in secondo grado.
Contro la doppia condanna, il presidente della Cooperativa aveva fatto ricorso in Cassazione, facendo leva sulla “libera manifestazione di pensiero consentita a chiunque in uno stato democratico, in via generale, e a maggior ragione nell’ambito di un rapporto subordinato dove è riconosciuto al datore di lavoro un potere valutativo e disciplinare”. Piazza Cavour ha disposto un nuovo esame della vicenda davanti al Tribunale di Terni e ha fatto notare che “non è consentito con la parola o con qualsiasi altro mezzo di espressione, ledere l’altrui reputazione, salvo che per tutelare interessi riconosciuti dall’ordinamento”.
Considerato poi il contesto in cui sono volati i giudizi sul dipendente, avverte la Cassazione, ossia “l’assenza di interesse pubblico alla conoscenza delle dinamiche e vicende aziendali”, è necessario “accertare se il sacrificio della reputazione del dipendente sia proporzionato all’interesse perseguito”, dal momento che, precisano ancora i supremi giudici, “la valutazione della continenza non può prescindere dalla comparazione dei valori in gioco”. In buona sostanza, il pericolo condanna per il dirigente non è ancora scongiurato.
8 ottobre 2012