I lavoratori della Green Hill di Montichiari sono in cassintegrazione. L’ex dipendente: ci hanno dimenticati
I 2500 beagle dell’allevamento Green Hill di Montichiari sono stati tutti adottati e salvati da un destino infame. Quello che non sembra risparmiare i 25 dipendenti – uno si è licenziato, sette sono a tempo determinato – in cassa integrazione da settembre. Questa mattina la multinazionale americana Marshall – allevamenti di cani per la sperimentazione in mezzo mondo – ha convocato i sindacati per «comunicazioni urgenti».
Cosa debba dire è facile capirlo, visto che da mesi sono deserti i capannoni sulla collina alle porte di Brescia dove protestavano animalisti ed ex ministre fiammeggianti. «Perché non adottano anche noi? Sono spariti tutti… L’ex ministro Maria Vittoria Brambilla mai più nè vista nè sentita, ma non si azzardi ad avvicinarsi se no prendo il fucile», tuona Guido D., operaio, 40 anni, moglie disoccupata, due figli piccoli, passato dai 1500 euro al mese ai 700 della cassa integrazione fino al 30 giugno.
La sua disperazione non è figlia della crisi. Ma dei mille lavori – dall’Ilva alla Thyssen – la cui sopravvivenza non è dettata dalle leggi dal mercato ma dalle leggi e a volte dagli umori. A sentire Guido D., Green Hill era una specie di paradiso del cane con pessima immagine. «Hanno detto che tagliavamo le corde vocali ai cani perché non abbaiassero, ma quando sono stati adottati nessuno lo ha denunciato», dice tormentando la stanghetta degli occhiali, nella sede della Cisl di Brescia dove si combatte questa impopolare battaglia per la difesa del lavoro. «Quando ho detto che questi lavoratori meritano rispetto almeno quanto gli animali sono stato sommerso di insulti», ricorda Daniele Cavalleri, il segretario provinciale di Fai Cisl, il sindacato del settore agricolo alimentare.
Un timore condiviso da Guido D., che non vuole il cognome sul giornale: «Se a un colloquio mostro curriculum, storcono il naso quando vedono che ho lavorato per nove anni a Green Hill». Se sia meglio un lavoro qualunque a nessun lavoro non lo sa davvero nessuno ma i temi etici si fa fatica a considerarli quando arrivano le bollette. Guido D. assicura di amare i cani, di averne tanti e soprattutto di non capire questa campagna – tra magistrati, animalisti, ex ministri – che alla fine gli ha fatto perdere il lavoro. Il bilancio di Green Hill Italia nel 2010 era in attivo di 2,5 milioni di euro. Niente rispetto a questo colosso mondiale al 100% della Great Divide Aps di Copenaghen che «alleva animali a fini biomedicali». E figuriamoci quale zero virgola niente deve rappresentare lo stipendio di Guido D. e dei colleghi. «L’Unione europea dice che i farmaci devono essere testati su topi cani e scimmie prima di essere commercializzati. Darei i miei cani se sapessi che servono a salvare la vita dei miei figli. Ma perché si può fare ovunque ma non qui?».
La risposta è nei dossier degli ambientalisti, delle inchieste della magistratura, dei ricorsi della Marshall che non vorrebbe più indietro i cani sequestrati ma preferirebbe un risarcimento. Almeno milionario visto che un beagle di razza vale un paio di migliaia di euro. Molto più dello stipendio di Guido D., piegato ma non rassegnato: «Chi mette un animale davanti alla vita di un cristiano, non è che è lui l’animale?».
La Stampa – 22 aprile 2013