E mentre i disoccupati restano, le strutture pubbliche si ingrossano di dipendenti. Il caso estremo è la Sicilia, con 1582 funzionari in 65 strutture. Ecco cosa dice l’ultimo rapporto del ministero del Lavoro. E perché preoccupa Bruxelles
Dovrebbero essere il trampolino di ri-lancio dell’occupazione, moli sicuri da cui far ripartire la vita, e la carriera, di milioni di disoccupati. Ma gli attuali centri per l’impiego, gli ex uffici di collocamento , sono diventati piuttosto dei carrozzoni di inamovibili: soprattutto al Sud, le agenzie locali sostenute con i soldi delle regioni sembrano servire più ad ingrossare le fila dei dipendenti pubblici che non ad agganciare nuove aziende disposte ad assumere. I risultati (scadenti) si vedono: solo il tre per cento degli iscritti riesce a trovare un posto grazie ai loro servizi.
L’ultima – ed ennesima – critica al sistema dei centri per l’impiego arriva dal ministero del Lavoro, che ha condotto un’indagine approfondita per preparare l’arrivo dei fondi europei destinati al contrasto della disoccupazione giovanile, quelli dell’atteso progetto “European Youth Guarantee”. Per spronare gli inattivi, ma soprattutto i “neet”, i ragazzi che non studiano e non lavorano, a rimettersi in gioco, i tecnici del governo avevano intenzione di puntare molto sulle agenzie pubbliche per l’impiego, diffuse e radicate su tutto il territorio. Ma dopo aver concluso il monitoraggio, anche i burocrati di Roma si sono resi conto che i denari europei rischierebbero di finire sprecati, se inviati a pioggia nel sistema già traballante dei centri.
La causa del ritardo non è certo imputabile alla mancanza di forze. Le persone all’opera per trovare opportunità a chi è senza lavoro non mancano. Anzi, abbondano: il caso estremo è la Sicilia, che per i suoi 65 uffici ha 1582 dipendenti. In tutta Italia sono 8713: significa che uno su cinque lavora sull’isola. E il rapporto fra funzionari e richieste è completamente sbilanciato: gli oltre 1500 impiegati siciliani si devono infatti occupare di 181mila iscritti al servizio. In Lombardia invece 323mila disoccupati sono serviti in tutto da 577 addetti: significa che un dipendente dei centri per il collocamento lombardi aiuta da solo più di due persone al giorno, mentre nella regione di Rosario Crocetta il funzionario medio ne aiuta uno ogni due giorni.
Non è tutto. L’indagine diffusa dal ministero rivela anche che la Sicilia ha la quota più alta di personale dedicato al back-office (51 per cento rispetto a una media nazionale del 29), ovvero di dipendenti che non lavorano a diretto contatto con i disoccupati in difficoltà. E quale sia il loro compito, in un centro che serve proprio a favorire il rapporto tra chi cerca e offre lavoro, non è chiaro. A pesare, sull’efficenza delle strutture isolane, c’è infine anche il basso livello di scolarizzazione: solo il nove per cento degli impiegati ha una laurea.
Quello siciliano è indubbiamente un caso estremo, ma la situazione non è molto diversa in altre zone. Ne sa qualcosa Romano Benini, esperto di servizi e consulente del ministero del Lavoro , che a proposito di disoccupazione ha da poco scritto il libro “Nella tela del ragno”: «Il sistema dei centri per l’impiego è talmente debole e sbrindellato che difficilmente riuscirà a dare qualche buon risultato», spiega Benini. Questo perché ogni regione adotta una propria politica a favore dell’occupazione e non tutte funzionano. Esistono realtà locali, come Trentino Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Toscana, Liguria, Veneto ed Emilia Romagna che si sono date da fare con progetti e iniziative a favore della formazione e della ricerca attiva di nuove occasioni di lavoro, mentre nel resto d’Italia regna l’immobilismo.
Attraverso la European Youth Guarantee in Italia arriveranno 1,4 miliardi di fondi per far ripartire l’occupazione: «In realtà solo 300 milioni saranno destinati ai servizi per l’impiego nel 2014, che si sommeranno ai 500 milioni che già ci mette lo Stato», commenta Benini. Circa 700 milioni in tutto, dunque, mentre la Germania spende 9 miliardi per evitare che i tedeschi restino nel limbo dell’inoccupazione, senza un lavoro e senza un percorso di formazione per cercare una nuova via d’accesso al mondo del lavoro.
Eppure, secondo Benini, non è solo di una questione di quattrini, ma si tratta soprattutto di una reale mancanza di servizi: «Al Sud i soldi ci sono, ma mancano gli strumenti. Non c’è un progetto serio per rilanciare l’occupazione e neppure un piano per sollecitare le persone a cercare un nuovo impiego, magari anche sperimentando nuove strade, come quella del tirocinio, dell’apprendistato, o dell’auto imprenditorialità», sostiene l’esperto: «I servizi sono affidati a personale vecchio e con scarso livello di scolarizzazione. I risultati sono ovviamente deludenti e si rischia di aggravare ulteriormente la situazione in quelle aree già depresse, come il Sud Italia, dove i centri per l’impiego fanno acqua».
Così, anche se i fondi europei sono in viaggio per l’Italia, potrebbero restare inutilizzati, perché se le Regioni non saranno in grado di dimostrare di saperli usare bene, l’Europa se li riprenderà. Ecco perché alcune amministrazioni, come quella del Lazio, anziché affidarsi ai suoi 600 operatori, sta pensando di rivolgersi alle più efficienti agenzie esterne.
L’Espresso – 1 marzo 2014