Per il sindacato sono scesi in strada un milione di lavoratori. E in mezzo alla marea rossa il segretario ha lanciato il suo attacco al governo. Davanti a tanti esponenti democratici critici nei confronti di Renzi
l sindacato dice un milione. Certo è che piazza San Giovanni, a Roma, è piena, con i cortei ancora in corso, fermi, senza più spazio per andare avanti, con le code ancora lontane, a centinaia di metri dalla piazza. E certo è anche che Susanna Camusso ha una marea rossa, che la guarda, quando annuncia che la Cgil è pronta allo sciopero generale conto la manovra del governo Renzi e contro la riforma del lavoro: «Se qualcuno pensa che questa piazza sia una fiammata» dice, «e che basti aspettare che passi la giornata, deve sapere che ha proprio sbagliato, e non si deve illudere che basterà chiedere l’ennesima fiducia in parlamento. Noi» è la parola della segretaria confederale della Cgil, «continueremo con gli scioperi articolati e, sì, anche con lo sciopero generale».
Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, durante il suo intervento dal palco di San Giovanni, annuncia l’intenzione di ricorrere a tutte le forme di protesta necessarie contro le iniziative sul lavoro del governo Renzi, preventivando anche lo sciopero generale tra gli applausi della piazza
In piazza c’è di tutto. Ci sono i metalmeccanici che saltano abbracciati e scandiscono lo slogan finora dedicato a Silvio Berlusconi o a Sergio Marchionne: «Chi non salta Matteo Renzi è – è», «Chi non salta Matteo Renzi è – è». Ci sono i lavoratori dell’Ama, anzi della «Rott-Ama», come hanno scritto sulle magliette: «Siamo qui per rottamare tutti i rifiuti di Renzi, l’articolo 18 e tutto il resto. Rottamiamo e ricicliamo». C’è lo striscione dei «Gufi Felici». C’è JoBat, un supereroe conto il Job Act, le cui gesta sono raccontate in un fumetto. C’è l’impegno della Cgil di scrollarsi di dosso l’immagine di un sindacato «tutto di pensionati»: molti iscritti dello Spi hanno sulle pettorine slogan come «largo ai giovani» o «nonni per i giovani», e prima dell’intervento di Susanna Camusso dal palco parlano soprattutto ragazzi e ragazze, non i vecchi quadri del sindacato, neanche Maurizio Landini, ma lavoratori precari, disoccupati e studenti. A condurre la mattinata ci sono poi tre giovani segretari cittadini, così come Matteo Renzi ha messo tre giovani parlamentari a condurre la Leopolda. Come alla Leopolda, poi, si lanciano «Rvm», parodie, videomessaggi.
“Necessario lo sciopero generale, lo chiede questa piazza. Dobbiamo andare avanti finché non avremo fatto cambiare idea al governo” dichiara il segretario della Fiom, Maurizio Landini.
Ma è un frontale con il governo, alla fine, al netto del verso che la Cgil fa a «Matteo», quello di Susanna Camusso e della Cgil: «Stai sereno» dice al premier che «si chiede sempre dove eravamo noi in questi anni», quando il lavoro diventava precario, «e si dimentica però di dire dove fosse lui, sempre». È durissima con il governo, Susanna Camusso («Nessuno in buona fede può dire che togliere l’articolo 18, autorizzare il demansionamento, o mettere le telecamere per sorvegliare i lavoratori, serva per la crescita»), ma neanche tenera con chi, dirigente o parlamentare del Pd, ha scelto di venire in piazza: «Questa piazza non è la passerella di qualcuno, non è la conta di chi c’è e chi non c’è», è la stoccata, proprio all’inizio dell’intervento.
Vengono accolti bene, in realtà, Giuseppe Civati, Gianni Cuperlo, Stefano Fassina, Cesare Damiano e gli altri democratici che hanno sfilato per il centro di Roma. Stefano Fassina non nega una certa sorpresa e si dice stupito per «la serenità» della piazza, piacevolmente colpito dai pochissimi insulti ricevuti, insomma. «Sapevo che sarebbe andata bene la manifestazione perché alcune scelte del governo non sono condivise da un pezzo importante degli italiani», dice Fassina, che aggiunge: «Rivendichiamo la presenza del Pd, anche perché la maggior parte delle persone che sono qui hanno votato partito democratico». Al massimo, avvolti dalle loro bandiere rosse, i manifestanti si avvicinano all’ex viceministro e gli dicono «mollalo», «mollalo», molla Matteo Renzi e questo suo governo.
Così l’ex presiedente Pd in piazza San Giovanni alla manifestazione contro il Jobs Act. E sull’appuntamento dei renziani a Firenze è ironico: “Questo fine setiimana c’è la Leopolda?” (video di Fabio Butera)
Non per tutti, però, la piazza della Cgil è una piazza contro il governo. Giuseppe Civati, ad esempio, preferisce vederla così: «Chi manifesta oggi non lo fa contro il governo, ma contro politiche che sono sbagliate» dice l’esponente Pd ai microfoni di Rainews24. Sì, sbagliato è abolire l’art. 18, «come voleva fare Berlusconi», sbagliati sono il «controllo a distanza», e sbagliato è «il precariato di Poletti» ma che siano tutte proposte governative non è il punto.
Bisognerà comunque vedere, adesso, come si comporterà in aula, proprio sul jobsact e sulla legge di stabilità, la minoranza dem ancora convinta che entrambe «si possano migliorare», perché così, dicono, ma solo così, soprattutto la riforma del lavoro, «non si può votare». Maurizio Landini, che non parla dal palco ma sfila, è però scettico: «Il Parlamento non farà cambiamenti. C’è la fiducia, punto. Al momento opportuno Renzi la mette e gli altri la votano».
Lo scontro. Sinistra di governo e quella di lotta, un duello a distanza dal futuro incerto
Renzi punta al 51% e spera di includere tutti nel suo nuovo Pd La Cgil della Camusso è in continuità con la tradizione novecentesca
C’è un banchetto di nozze e c’è chi protesta fuori, a distanza di molti chilometri e un’ora e mezza di treno ma nello stesso momento, dunque nella realtà virtuale delle immagini in streaming: insieme. C’è una festa di matrimonio, a Firenze, i tavoli tondi e bianchi per tremila persone e forse più, gli intimi degli sposi, un ricevimento con tortelli plateau di formaggi e gelato per dessert, begli abiti disinvolti, bei sorrisi, angolo coi gonfiabili per i bambini, grande entusiasmo esibito e molta fortuna augurata come un mantra dai pannelli e dai discorsi tutti, tante belle cose, auguri e figlie femmine, sì femmine, prenda la parola per prima una donna per favore – sorride imperioso Renzi presidente del Consiglio in maniche di camicia dal palco, lo sposo e il conduttore insieme, il festeggiato e il presentatore – ecco a voi la direttrice dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi, un bell’applauso.
Si celebra, alla stazione Leopolda di Firenze, il matrimonio del renzismo col governo. E’ la prima volta. L’anno scorso qui nello stesso luogo era “solo” sindaco, candidato alla leadership. Oggi è premier, la ministra Boschi al suo fianco, la moglie Agnese in sala, sottosegretari e responsabili di dicastero ai democratici tavoli rotondi a parlare con “la gente”, opportunamente pre-registrata: non esiste capotavola né tavolo degli sposi, alla Leopolda. Qui tutto è circolare, tondi i tavoli tondo il passeggio della folla attorno ai medesimi, tondo il percorso da fare per andare in bagno o a comprare la maglietta con scritto “stop ai gufi”, tondo l’andamento dei lavori che finiscono e ricominciano dallo stesso punto, la lettura dei tweet di chi è rimasto a casa e delle frasi ingigantite dai pannelli, le profezie sbagliate di chi non ha creduto nei talenti: il direttore del giornale che licenziò Walt Disney perché “manca di immaginazione”, il critico d’arte Thomas Craven che disse “la fama di Picasso sfiorirà rapidamente”, le motivazioni per cui la Decca non mise sotto contratto i Beatles, “la musica suonata con la chitarra è in declino”.
Tutto gira in tondo producendo estasi o un leggero mal di mare, dipende, il finanziere David Serra dice che «è giusto limitare il diritto di sciopero ai dipendenti pubblici » e può succedere che fra trenta telecamere incroci lo sguardo di Gennaro Migliore, già braccio destro di Vendola. Il quale Vendola intanto sta fuori nella piazza – a Roma – e cita Virgilio, «come Enea si carica sulle spalle Anchise così la sinistra deve fare coi diritti dei lavoratori», guardare molto indietro per andare molto avanti. Nella piazza quelli rimasti fuori dal ricevimento di nozze e di quelli che non ci vogliono stare – i lavoratori della Cgil, Cofferati come dodici anni fa e Cuperlo che «io sono coerente », Civati che «non sono andato a destra come Matteo» e le ragazze col cappello di paglia da cow boy, Susanna Camusso che chiama allo sciopero generale – vanno diritti lungo un percorso tracciato e niente affatto rotondo, una linea retta che arriva dal secolo scorso fin qui, sempre la stessa rotta verso il palco di San Giovanni. I Modena City Ramblers suonano Bella Ciao, anche loro hanno la chitarra come i Beatles, chiudono urlando al microfono «non state sereni» facendo il verso al famoso tweet di Renzi a Enrico Letta poco prima del cambio di posto al governo: Enrico, stai sereno. Susanna Camusso canta mentre diritta cammina verso il palco, è una canzoncina che ricalca il vecchio ritornello di Ufo-Robot e dice “SuperMatteo”, un po’ di scherno. Rosi Bindi, anche lei in piazza, litiga via tv – insieme, appunto – con Debora Serracchiani alla Leopolda: le dice che quello è un «luogo artificiale» una « contromanifestazione del Pd», anzi, la prima manifestazione post-Pd. Serracchiani, fino a un minuto prima seduta al tavolo tondo a parlare con sindaci e assessori di «fragilità del territorio e infrastrutture », un poco si altera. Anche qui c’è il Pd, ribatte a Bindi. Anche alla Leopolda, in effetti, c’è molto Pd: giovani e meno giovani imprenditori, soprattutto, almeno quindici invitati sul palco a dire come hanno fatto ad avere successo.
In piazza San Giovanni i coristi dell’Opera licenziati intonano Vincerò, alla Leopolda l’ad di Prada Bertelli e Andrea Guerra ex Luxottica spiegano come si porta la qualità italiana nel mondo. Brunello Cucinelli dice che «la dignità dei lavoratori genera responsabilità », e ha ragione, la ragazza Laura da piazza San Giovanni posta un video su Facebook in cui dice che «senza dignità dei lavoratori non ci può essere una politica di sinistra», ha ragione con evidenza anche lei. Nella vecchia stazione vestita come il garage di Steve Jobs – il luogo dove nascono le idee e i progetti, la suggestione di marketing – arriva Graziano del Rio che dice «sono contento per la piazza di Roma affollata e serena, non è questo governo che genera quella piazza: è la paura. Noi lavoriamo sulla responsabilità per sconfiggere quella paura». Tutti a parole sono contenti, a Firenze, della piazza di Roma. Lo dice Boschi lo ripete Scalfarotto, sono di scena in questo sabato le due sinistre: verrebbe facile dire una di lotta una di governo. Dodici anni fa, quando Cofferati portò in piazza tre milioni di persone per lo stesso articolo 18, non era la sinistra a governare. Oggi sì, c’è la sinistra di Renzi “big tent”, quella che tiene sotto la tenda tutti o almeno prova. Obiettivo 51 per cento. Pif a parlare di mafia, con qualche accento polemico verso il governo, e Fabio Volo a scherzare, Raffaele Cantone magistrato anticorruzione che fa i raggi X agli appalti per l’Expo e il vicepresidente di Confindustria Aldo Bonomi che toglie la giacca per dire come ha fatto lui, da ragazzo a ricostruire la sua azienda. Delrio, sottosegretario alla Presidenza alla destra dello sposo, ha telefonato a Landini, ieri, per fargli gli auguri per la manifestazione. David Serra il finanziere star del giorno dice che di questo Pd potrebbe anche prendere la tessera, certo però basta scioperi che disincentivano gli investitori stranieri. Susanna Camusso inforca occhiali rossi, fuori in piazza a Roma, e dice che lo sciopero generale ci sarà. Sulla maglia porta scritto “io sono Marta”, la ragazza di 28 anni a cui Renzi assicura di pensare quando pensa alla riforma del lavoro, e un hashtag che dice aidirittinonsicambiaverso.
C’è tantissima gente con le bandiere rosse, in piazza, forse un milione, e parecchia gente in stazione a Firenze, qualche migliaio. Tutti filmano coi cellulari e inviano video e foto di sé, bei ricordi, io c’ero. C’è il sole per tutti ed è difficile capire che guerra sia questa, se è una guerra, fra chi gira attorno ai tavoli e chi tira diritto verso il palco. Se il vecchio e il nuovo siano uno contro l’altro per andare dove, quando al governo ci sono tutti già, o se invece sia una prova di forza per vedere chi conta ancora e chi di più, e allora non c’entra l’età ma l’idea che hai in mente. L’idea di futuro, che – c’è scritto alla Leopolda – “è solo l’inizio” ed è tutto avvolto nella nebbia, in effetti, ancora.
Repubblica e L’Espresso – 26 ottobre 2014